#SelfieadArte

L’indiano fa le pentole ma non i coperchi (Subodh Gupta, When Soak Becomes Spill)
20 Gen

L’indiano fa le pentole ma non i coperchi (Subodh Gupta, When Soak Becomes Spill)

Quando iniziai a scattare i #selfieadarte non lo feci guidata dalla mia – pur esistente, sia ben chiaro – vanità. Per quello avrei potuto scegliere di cavalcare l’onda, che impone di scattare selfie comunque e sempre. Non era nemmeno per uno spirito trasgressivo, teso a sdrammatizzare qualcosa che – nonostante Duchamp e tutti i suoi epigoni – appare tuttora difficile da prendere non già meno sul serio, ma in maniera più leggera nel senso sano del termine; e nemmeno per commettere un altro tipo di trasgressione, ovvero disubbidire alla regola imposta da praticamente ogni museo secondo cui è vietatissimo scattare foto all’interno dello stesso (colgo anzi l’occasione per ricordare a tutti che NON È così! Il Decreto Legge 31 maggio 2014, n. 83 sulle disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo (convertito dalla Legge 29 luglio 2014, n. 106) prevede infatti che sia “possibile scattare liberamente foto nei musei per uso personale e comunque senza scopo di lucro”… oltre che senza il flash, che può rovinare le opere!).

Il mio obiettivo era in realtà… didattico. Ma non nel senso più ovvio che questa parola può suscitare: non intendo ergermi a insegnante di alcunché coi miei scatti, anche perché le mie pose generalmente buffe e le frasette di accompagnamento alle foto hanno poco di intellettualmente significativo da trasmettere.

La mia volontà era – ed è – quella di promuovere delle opere (che scelgo) dalle mostre (che scelgo) che vado a visitare e interagire con loro, seppur a un “livello basso”. Attenzione, però: questo presunto basso livello o interesse culturale, che in American English si chiama “lowbrow“, da termine dispregiativo che era è passato a definire un genere (quello del surrealismo pop) tra i più interessanti emersi a cavallo tra lo scorso millennio e l’attuale. Un po’ come capitò all’impressionismo…

Ma non divaghiamo, quello che intendo dire è che l’approccio umoristico, o comunque popolare, all’opera d’arte può permettere (prima di tutto a chi decide di autoritrarsi con l’opera stessa) di leggerne il messaggio da un punto di vista diverso, e più personale. Anche grazie al fatto di ritrovarsi in qualche modo – anche se solo tramite uno “sciocco” selfie – a ricreare insieme con l’opera ritratta qualcosa di nuovo; qualcosa di bello, fosse anche solo per il gesto compiuto.
E con lo stesso spirito che evidentemente ha precedentemente animato me, un paio d’anni fa Mar Dixon, una mamma di Londra iperattiva su Twitter e che gestisce un sito che si occupa di mostre e musei, ha lanciato la campagna #MuseumSelfie Day.

Che ha un intento nobile sin dalle sue origini, ed è quello di avvicinare i giovani (e il pubblico dalla vita prevalentemente virtuale e social, magari anche più anziano ma alle prime armi come frequentatore di spazi espositivi) alla fruizione dei beni culturali, esorcizzando in questo modo in loro la “sindrome da sbadiglio museale” e possibilmente stimolando in loro il naturale bisogno di Sapere e di Bellezza, intrinseco nell’essere umano ma spesso, purtroppo, assopito.

Alla Dixon l’idea di lanciare la campagna è venuta dopo una serie di visite a svariati musei con sua figlia:“Il mio obiettivo con mia figlia, quando andiamo in un museo, è quello di imparare qualcosa di nuovo. Non deve riguardare necessariamente l’arte, però: può anche trattarsi del fatto che il museo venda delle ottime torte di carota. L’hashtag #MuseumSelfie parla del museo, ma in effetti riguarda le persone che vanno al museo. Tu scatti quella foto, e tu ricorderai quell’immagine e quel momento“.

Mi associo quindi a Mar Dixon, e vi invito a celebrare il #MuseumSelfie day in questo evento che oggi si svolgerà sui Social Network e nei musei di tutto il mondo! E come si fa? È molto semplice: si scatta una foto accanto a un’opera d’arte (o a una torta di carote…) a vostra scelta in un museo a vostra scelta, e la si posta su Facebook, Twitter, Instagram o dove vi pare, accompagnata dall’ hashtag ufficiale #MuseumSelfie e taggando l’account ufficiale @MuseumSelfieDay … e già che ci siamo, visto che vi ho raccontato tutto questo, fossi in voi aggiungerei l’hashtag #Selfieadarte e taggherei il mio account @CleliaPatella!

Buoni selfie a tutti!

 

Subodh Gupta, When Soak Becomes Spill, 2015

Mmh (Alexander Calder, Black Widow)
19 Gen

Mmh (Alexander Calder, Black Widow)

Fino al 3 aprile 2016, la Tate Modern Gallery di Londra ospita la mostra “Alexander Calder: Performing sculpture“. Si tratta della più grande retrospettiva mai dedicata nel Regno Unito allo scultore americano, pioniere della scultura cinetica, che “inventò” negli anni trenta realizzando i suoi primi “mobile” (termine creato ad hoc da Marchel Duchamp in persona), ovvero strutture mobili – appunto – e dinamiche, costruite tramite l’assemblaggio di parti in metallo e fili.

Questo portò a una trasformazione radicale del concetto di scultura, che da oggetto tridimensionale diveniva quadrimensionale – grazie all’aggiunta della dimensione del tempo, dovuta al movimento – e che in seguito assunse anche ulteriori dimensioni con la possibilità di interazione (tramite le mani, dispositivi elettrici, correnti d’aria o anche il solo respiro umano) o di generare suoni.

Oltre ai mobile, che a suo tempo affascinarono anche Einstein – che una volta rimase a fissarne uno per quasi un’ora -, la mostra propone anche alcuni progetti che testimoniano le sperimentazioni di Calder in altri campi, quali cinema, teatro, musica e danza.

 

Alexander Calder, Black Widow, 1948

Uuh (Alexander Calder, Snow Flurry)
19 Gen

Uuh (Alexander Calder, Snow Flurry)

Fino al 3 aprile 2016, la Tate Modern Gallery di Londra ospita la mostra “Alexander Calder: Performing sculpture“. Si tratta della più grande retrospettiva mai dedicata nel Regno Unito allo scultore americano, pioniere della scultura cinetica, che “inventò” negli anni trenta realizzando i suoi primi “mobile” (termine creato ad hoc da Marchel Duchamp in persona), ovvero strutture mobili – appunto – e dinamiche, costruite tramite l’assemblaggio di parti in metallo e fili.

Questo portò a una trasformazione radicale del concetto di scultura, che da oggetto tridimensionale diveniva quadrimensionale – grazie all’aggiunta della dimensione del tempo, dovuta al movimento – e che in seguito assunse anche ulteriori dimensioni con la possibilità di interazione (tramite le mani, dispositivi elettrici, correnti d’aria o anche il solo respiro umano) o di generare suoni.

Oltre ai mobile, che a suo tempo affascinarono anche Einstein – che una volta rimase a fissarne uno per quasi un’ora -, la mostra propone anche alcuni progetti che testimoniano le sperimentazioni di Calder in altri campi, quali cinema, teatro, musica e danza.

 

Alexander Calder, Snow Flurry, 1948

Uhm (Alexander Calder, Red and Yellow Vane)
19 Gen

Uhm (Alexander Calder, Red and Yellow Vane)

Fino al 3 aprile 2016, la Tate Modern Gallery di Londra ospita la mostra “Alexander Calder: Performing sculpture“. Si tratta della più grande retrospettiva mai dedicata nel Regno Unito allo scultore americano, pioniere della scultura cinetica, che “inventò” negli anni trenta realizzando i suoi primi “mobile” (termine creato ad hoc da Marchel Duchamp in persona), ovvero strutture mobili – appunto – e dinamiche, costruite tramite l’assemblaggio di parti in metallo e fili.

Questo portò a una trasformazione radicale del concetto di scultura, che da oggetto tridimensionale diveniva quadrimensionale – grazie all’aggiunta della dimensione del tempo, dovuta al movimento – e che in seguito assunse anche ulteriori dimensioni con la possibilità di interazione (tramite le mani, dispositivi elettrici, correnti d’aria o anche il solo respiro umano) o di generare suoni.

Oltre ai mobile, che a suo tempo affascinarono anche Einstein – che una volta rimase a fissarne uno per quasi un’ora -, la mostra propone anche alcuni progetti che testimoniano le sperimentazioni di Calder in altri campi, quali cinema, teatro, musica e danza.

 

Alexander Calder, Red and Yellow Vane, 1934

Sono una figa! (& Jana Zelibska)
14 Gen

Sono una figa! (& Jana Zelibska)

The World Goes Pop“: alla Tate Modern di Londra, fino al 24 gennaio 2016, è proprio così.
La mostra, che espone circa 200 opere realizzate negli anni sessanta e settanta, si pone infatti l’obiettivo di sottolineare come la Pop Art non sia stato solamente un fenomeno anglo-americano o al limite europeo – come tendiamo a considerarlo – ma piuttosto un linguaggio universale.

E pone in evidenza come tale linguaggio fu spesso associato al momento storico e a tutte le istanze sociali a cavallo tra gli anni sessanta e settanta, rendendosi strumento espressivo per i movimenti di protesta e di critica di tutto il mondo: la politica, la rivoluzione, il consumismo e il corpo femminile sono infatti i temi principali affrontati nelle opere esposte, realizzate in Asia come in Europa, in America Latina, Medio Oriente ed Australia.

 

Jana Zelibska

Il mio cuore non si spezza (Delia Cancela, Broken Heart)
14 Gen

Il mio cuore non si spezza (Delia Cancela, Broken Heart)

The World Goes Pop“: alla Tate Modern di Londra, fino al 24 gennaio 2016, è proprio così.
La mostra, che espone circa 200 opere realizzate negli anni sessanta e settanta, si pone infatti l’obiettivo di sottolineare come la Pop Art non sia stato solamente un fenomeno anglo-americano o al limite europeo – come tendiamo a considerarlo – ma piuttosto un linguaggio universale.

E pone in evidenza come tale linguaggio fu spesso associato al momento storico e a tutte le istanze sociali a cavallo tra gli anni sessanta e settanta, rendendosi strumento espressivo per i movimenti di protesta e di critica di tutto il mondo: la politica, la rivoluzione, il consumismo e il corpo femminile sono infatti i temi principali affrontati nelle opere esposte, realizzate in Asia come in Europa, in America Latina, Medio Oriente ed Australia.

 

Delia Cancela, “Broken Heart” 1964

(Rêve)olution (Henri Cueco, Large Protest)
14 Gen

(Rêve)olution (Henri Cueco, Large Protest)

The World Goes Pop“: alla Tate Modern di Londra, fino al 24 gennaio 2016, è proprio così.
La mostra, che espone circa 200 opere realizzate negli anni sessanta e settanta, si pone infatti l’obiettivo di sottolineare come la Pop Art non sia stato solamente un fenomeno anglo-americano o al limite europeo – come tendiamo a considerarlo – ma piuttosto un linguaggio universale.

E pone in evidenza come tale linguaggio fu spesso associato al momento storico e a tutte le istanze sociali a cavallo tra gli anni sessanta e settanta, rendendosi strumento espressivo per i movimenti di protesta e di critica di tutto il mondo: la politica, la rivoluzione, il consumismo e il corpo femminile sono infatti i temi principali affrontati nelle opere esposte, realizzate in Asia come in Europa, in America Latina, Medio Oriente ed Australia.

 

Henri Cueco, “Large Protest” 1969

Le buone cose di pessimo gusto (Gillo Dorfles, Essere nel Tempo)
24 Dic

Le buone cose di pessimo gusto (Gillo Dorfles, Essere nel Tempo)

Al MACRO di Roma è tempo di “Gillo Dorfles – Essere nel Tempo“.

La mostra, curata da Achille Bonito Oliva, su un progetto e allestimento di Fulvio Caldarelli con Maurizio Rossi, è la prima antologica dedicata a tutta l’opera di un padre storico della cultura visiva italiana.
L’intera carriera del Dorfles pittore, critico, accademico e filosofo è qui esposta. Tra la produzione artistica, il pensiero critico e le teorie estetiche dell’artista vi sono oltre cento opere, alcune delle quali appaiono per la prima volta in assoluto. Non solo dipinti e disegni, ma anche una selezione di ceramiche e gioielli, ad illustrare un percorso temporale che abbraccia l’intera, lunghissima carriera di Dorfles. Che tuttora, a 105 anni, è nel tempo, e lo sfida: le opere più recenti esposte risalgono solo a pochi mesi fa.

La mostra rimarrà al Macro fino al 30 marzo 2016.

La bella e la bestia (Gillo Dorfles, Essere nel Tempo)
24 Dic

La bella e la bestia (Gillo Dorfles, Essere nel Tempo)

Al MACRO di Roma è tempo di “Gillo Dorfles – Essere nel Tempo“.

La mostra, curata da Achille Bonito Oliva, su un progetto e allestimento di Fulvio Caldarelli con Maurizio Rossi, è la prima antologica dedicata a tutta l’opera di un padre storico della cultura visiva italiana.
L’intera carriera del Dorfles pittore, critico, accademico e filosofo è qui esposta. Tra la produzione artistica, il pensiero critico e le teorie estetiche dell’artista vi sono oltre cento opere, alcune delle quali appaiono per la prima volta in assoluto. Non solo dipinti e disegni, ma anche una selezione di ceramiche e gioielli, ad illustrare un percorso temporale che abbraccia l’intera, lunghissima carriera di Dorfles. Che tuttora, a 105 anni, è nel tempo, e lo sfida: le opere più recenti esposte risalgono solo a pochi mesi fa.

La mostra rimarrà al Macro fino al 30 marzo 2016.

A tu per tu col Professore (Gillo Dorfles, Essere nel Tempo)
24 Dic

A tu per tu col Professore (Gillo Dorfles, Essere nel Tempo)

Al MACRO di Roma è tempo di “Gillo Dorfles – Essere nel Tempo“.

La mostra, curata da Achille Bonito Oliva, su un progetto e allestimento di Fulvio Caldarelli con Maurizio Rossi, è la prima antologica dedicata a tutta l’opera di un padre storico della cultura visiva italiana.
L’intera carriera del Dorfles pittore, critico, accademico e filosofo è qui esposta. Tra la produzione artistica, il pensiero critico e le teorie estetiche dell’artista vi sono oltre cento opere, alcune delle quali appaiono per la prima volta in assoluto. Non solo dipinti e disegni, ma anche una selezione di ceramiche e gioielli, ad illustrare un percorso temporale che abbraccia l’intera, lunghissima carriera di Dorfles. Che tuttora, a 105 anni, è nel tempo, e lo sfida: le opere più recenti esposte risalgono solo a pochi mesi fa.

La mostra rimarrà al Macro fino al 30 marzo 2016.