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"Deve acquistar rotondità la luce per divenire un sole" (Florencia Martinez - RicucireIlMondo)
12 Mar

"Deve acquistar rotondità la luce per divenire un sole" (Florencia Martinez - RicucireIlMondo)

La Triennale di Milano presenta Materialmente, una serie di piccole mostre, 5 appuntamenti, ideati da Angelo Crespi, che presentano il lavoro di giovani artisti/scultori capaci di rileggere in chiave moderna i materiali della tradizione.

Ricucire il mondo è il quinto appuntamento della serie che presenta il lavoro dell’artista Florencia Martinez.

Per raccontarsi, Florencia Martinez ha scelto da sempre la stoffa. Juta, feltro, tessuti d’alta moda e scampoli di abiti da sposa strappati, imbottiti, ripensati e poi ricuciti in grappoli di semi, oppure in lunghi serpenti turgidi, raggomitolati come se fossero pronti a scattare. I suoi sono lavori che comunicano la gioia di maneggiare il materiale, di farlo proprio, di trasformarlo per ricostruirvi il mondo. Un procedere lento, antico, femminile e tuttavia assertivo, quasi violento nei punti lunghi inferti dall’ago, ricurvo come un artiglio, nelle vistose suture di filo coriaceo. Un lavoro al tempo stesso meditativo e catartico nel quale fame d’amore, affetti, maternità, lotte, sconfitte e conquiste trovano voce nella gioia cromatica tipica della sua terra – l’Argentina – in figure di guerrieri, angeli, veneri, madonne, oppure negli abbracci, o nelle piccole case: rifugi per viandanti sperduti in bilico sulla cima di montagne impervie.

Florencia Martinez - RicucireIlMondo

"Scala con me la vetta" (Florencia Martinez - RicucireIlMondo)
12 Mar

"Scala con me la vetta" (Florencia Martinez - RicucireIlMondo)

La Triennale di Milano presenta Materialmente, una serie di piccole mostre, 5 appuntamenti, ideati da Angelo Crespi, che presentano il lavoro di giovani artisti/scultori capaci di rileggere in chiave moderna i materiali della tradizione.

Ricucire il mondo è il quinto appuntamento della serie che presenta il lavoro dell’artista Florencia Martinez.

Per raccontarsi, Florencia Martinez ha scelto da sempre la stoffa. Juta, feltro, tessuti d’alta moda e scampoli di abiti da sposa strappati, imbottiti, ripensati e poi ricuciti in grappoli di semi, oppure in lunghi serpenti turgidi, raggomitolati come se fossero pronti a scattare. I suoi sono lavori che comunicano la gioia di maneggiare il materiale, di farlo proprio, di trasformarlo per ricostruirvi il mondo. Un procedere lento, antico, femminile e tuttavia assertivo, quasi violento nei punti lunghi inferti dall’ago, ricurvo come un artiglio, nelle vistose suture di filo coriaceo. Un lavoro al tempo stesso meditativo e catartico nel quale fame d’amore, affetti, maternità, lotte, sconfitte e conquiste trovano voce nella gioia cromatica tipica della sua terra – l’Argentina – in figure di guerrieri, angeli, veneri, madonne, oppure negli abbracci, o nelle piccole case: rifugi per viandanti sperduti in bilico sulla cima di montagne impervie.

Florencia Martinez - RicucireIlMondo

"La vita che ora abbiamo è una grande cosa" (Florencia Martinez - RicucireIlMondo)
12 Mar

"La vita che ora abbiamo è una grande cosa" (Florencia Martinez - RicucireIlMondo)

La Triennale di Milano presenta Materialmente, una serie di piccole mostre, 5 appuntamenti, ideati da Angelo Crespi, che presentano il lavoro di giovani artisti/scultori capaci di rileggere in chiave moderna i materiali della tradizione.

Ricucire il mondo è il quinto appuntamento della serie che presenta il lavoro dell’artista Florencia Martinez.

Per raccontarsi, Florencia Martinez ha scelto da sempre la stoffa. Juta, feltro, tessuti d’alta moda e scampoli di abiti da sposa strappati, imbottiti, ripensati e poi ricuciti in grappoli di semi, oppure in lunghi serpenti turgidi, raggomitolati come se fossero pronti a scattare. I suoi sono lavori che comunicano la gioia di maneggiare il materiale, di farlo proprio, di trasformarlo per ricostruirvi il mondo. Un procedere lento, antico, femminile e tuttavia assertivo, quasi violento nei punti lunghi inferti dall’ago, ricurvo come un artiglio, nelle vistose suture di filo coriaceo. Un lavoro al tempo stesso meditativo e catartico nel quale fame d’amore, affetti, maternità, lotte, sconfitte e conquiste trovano voce nella gioia cromatica tipica della sua terra – l’Argentina – in figure di guerrieri, angeli, veneri, madonne, oppure negli abbracci, o nelle piccole case: rifugi per viandanti sperduti in bilico sulla cima di montagne impervie.

Florencia Martinez - RicucireIlMondo

"Lo sguardo è una convenzione” (Peter Demetz - Sala 1, 2018)
09 Mar

"Lo sguardo è una convenzione” (Peter Demetz - Sala 1, 2018)

Alla Triennale di Milano c'è Peter Demetz con "The Perception". A cura di Angelo Crespi e Marco Izzolino.
Un’opera che descrive una possibile situazione all'interno di uno spazio architettonico: due persone rappresentate in primo piano ne osservano una terza e ne percepiscono la presenza in relazione allo spazio architettonico. The Perception è una installazione che simula la presenza di alcuni visitatori all’interno di uno spazio composto di due sale attigue. Lo spazio interno alla scultura ha un’altezza e una larghezza realistiche, ma una profondità compressa.
Il pavimento dell’installazione è infatti ascendente, sfruttando le regole della “prospettiva solida accelerata”.
Nello spazio architettonico sono collocate alcune sculture lignee che raffigurano tre persone, due nella prima sala ed una nella sala di fondo. Le sculture, dall’aspetto estremamente realistico, non sono scolpite a tutto tondo, ma a rilievo, un rilievo ugualmente “accelerato”, come nella tradizione dello “stiacciato” rinascimentale. Agli osservatori che accedano alla sala dall’ingresso opposto all’installazione si offre solo la visione frontale dell’opera, la quale restituisce – grazie anche un sapiente controllo della luce interna – la percezione di uno spazio in prospettiva, che fa apparire l’ambiente reale molto più profondo che nella realtà. Avvicinandosi, però, gli osservatori hanno la possibilità di interagire con la scultura, il suo spazio interno (aperto) e le figure rappresentate, rendendosi conto dell’alterazione della profondità. L’opera intende descrivere una possibile situazione all’interno di uno spazio architettonico. Le due persone rappresentate in primo piano ne osservano una terza e ne percepiscono la presenza in relazione allo spazio architettonico. Oltre alle persone non c’è nulla. Lo spazio è completamente vuoto. L’artista intende indurre così l’identificazione dello spettatore con le figure rappresentate e dello spazio reale con quello virtuale, come ci trovasse di fronte ad uno specchio. Lo spettatore è invitato a considerare se stesso, a interrogarsi, a riflettere, a immedesimarsi, ad identificarsi. Lo sguardo da un unico punto di vista fisso, su cui si basano le regola della prospettiva lineare e la struttura ottica e geometrica della fotografia, è in realtà una forma simbolica: una convenzione, cioè, cui ci hanno abituato secoli di pittura figurativa e successivamente di fotografia, per poter riprodurre e comunicare almeno una parte delle informazioni visive presenti nello spazio reale.

The Perception - Peter Demetz Sala 1, 2018

"Opera di un certo rilievo” (Peter Demetz - The Perception, 2017)
09 Mar

"Opera di un certo rilievo” (Peter Demetz - The Perception, 2017)

Alla Triennale di Milano c'è Peter Demetz con "The Perception". A cura di Angelo Crespi e Marco Izzolino.
Un’opera che descrive una possibile situazione all'interno di uno spazio architettonico: due persone rappresentate in primo piano ne osservano una terza e ne percepiscono la presenza in relazione allo spazio architettonico. The Perception è una installazione che simula la presenza di alcuni visitatori all’interno di uno spazio composto di due sale attigue. Lo spazio interno alla scultura ha un’altezza e una larghezza realistiche, ma una profondità compressa.
Il pavimento dell’installazione è infatti ascendente, sfruttando le regole della “prospettiva solida accelerata”.
Nello spazio architettonico sono collocate alcune sculture lignee che raffigurano tre persone, due nella prima sala ed una nella sala di fondo. Le sculture, dall’aspetto estremamente realistico, non sono scolpite a tutto tondo, ma a rilievo, un rilievo ugualmente “accelerato”, come nella tradizione dello “stiacciato” rinascimentale. Agli osservatori che accedano alla sala dall’ingresso opposto all’installazione si offre solo la visione frontale dell’opera, la quale restituisce – grazie anche un sapiente controllo della luce interna – la percezione di uno spazio in prospettiva, che fa apparire l’ambiente reale molto più profondo che nella realtà. Avvicinandosi, però, gli osservatori hanno la possibilità di interagire con la scultura, il suo spazio interno (aperto) e le figure rappresentate, rendendosi conto dell’alterazione della profondità. L’opera intende descrivere una possibile situazione all’interno di uno spazio architettonico. Le due persone rappresentate in primo piano ne osservano una terza e ne percepiscono la presenza in relazione allo spazio architettonico. Oltre alle persone non c’è nulla. Lo spazio è completamente vuoto. L’artista intende indurre così l’identificazione dello spettatore con le figure rappresentate e dello spazio reale con quello virtuale, come ci trovasse di fronte ad uno specchio. Lo spettatore è invitato a considerare se stesso, a interrogarsi, a riflettere, a immedesimarsi, ad identificarsi. Lo sguardo da un unico punto di vista fisso, su cui si basano le regola della prospettiva lineare e la struttura ottica e geometrica della fotografia, è in realtà una forma simbolica: una convenzione, cioè, cui ci hanno abituato secoli di pittura figurativa e successivamente di fotografia, per poter riprodurre e comunicare almeno una parte delle informazioni visive presenti nello spazio reale.

The Perception - Peter Demetz

"Profonda riflessione” (Peter Demetz - The Perception, 2017)
09 Mar

"Profonda riflessione” (Peter Demetz - The Perception, 2017)

Alla Triennale di Milano c'è Peter Demetz con "The Perception". A cura di Angelo Crespi e Marco Izzolino.
Un’opera che descrive una possibile situazione all'interno di uno spazio architettonico: due persone rappresentate in primo piano ne osservano una terza e ne percepiscono la presenza in relazione allo spazio architettonico. The Perception è una installazione che simula la presenza di alcuni visitatori all’interno di uno spazio composto di due sale attigue. Lo spazio interno alla scultura ha un’altezza e una larghezza realistiche, ma una profondità compressa.
Il pavimento dell’installazione è infatti ascendente, sfruttando le regole della “prospettiva solida accelerata”.
Nello spazio architettonico sono collocate alcune sculture lignee che raffigurano tre persone, due nella prima sala ed una nella sala di fondo. Le sculture, dall’aspetto estremamente realistico, non sono scolpite a tutto tondo, ma a rilievo, un rilievo ugualmente “accelerato”, come nella tradizione dello “stiacciato” rinascimentale. Agli osservatori che accedano alla sala dall’ingresso opposto all’installazione si offre solo la visione frontale dell’opera, la quale restituisce – grazie anche un sapiente controllo della luce interna – la percezione di uno spazio in prospettiva, che fa apparire l’ambiente reale molto più profondo che nella realtà. Avvicinandosi, però, gli osservatori hanno la possibilità di interagire con la scultura, il suo spazio interno (aperto) e le figure rappresentate, rendendosi conto dell’alterazione della profondità. L’opera intende descrivere una possibile situazione all’interno di uno spazio architettonico. Le due persone rappresentate in primo piano ne osservano una terza e ne percepiscono la presenza in relazione allo spazio architettonico. Oltre alle persone non c’è nulla. Lo spazio è completamente vuoto. L’artista intende indurre così l’identificazione dello spettatore con le figure rappresentate e dello spazio reale con quello virtuale, come ci trovasse di fronte ad uno specchio. Lo spettatore è invitato a considerare se stesso, a interrogarsi, a riflettere, a immedesimarsi, ad identificarsi. Lo sguardo da un unico punto di vista fisso, su cui si basano le regola della prospettiva lineare e la struttura ottica e geometrica della fotografia, è in realtà una forma simbolica: una convenzione, cioè, cui ci hanno abituato secoli di pittura figurativa e successivamente di fotografia, per poter riprodurre e comunicare almeno una parte delle informazioni visive presenti nello spazio reale.

The Perception - Peter Demetz

"Nessun uomo ti farà sentire protetta e al sicuro come un cappotto di cachemire e un paio di occhiali scuri" (Vonjako - NOVACANE )
01 Mar

"Nessun uomo ti farà sentire protetta e al sicuro come un cappotto di cachemire e un paio di occhiali scuri" (Vonjako - NOVACANE )

Con gli occhiali di Kant, sui nasi di Voltaire (citando il testo di Angelo Crespi sul catalogo della mostra), i personaggi della Street Art ci guardano nelle fotografie di Vonjako. Inaugura al M.A.C., Musica Arte Cultura, il 26 Febbraio alle 19 la mostra The Art of Shade, progetto di fotografia fineart dell’autore Vonjako presentato dalla Fondazione Maimeri in collaborazione con Noema Gallery. Andrea Jako Giacomini, italiano, regista pluripremiato e fotografo, vive da circa 20 anni a Los Angeles.
In questa città inizia il progetto quasi per divertimento, avendo avuto in regalo dal suo amico Saturnino un paio di prototipi unici dei suoi occhiali da sole. L’intento è quello di “scovare” e documentare con una sua originale cifra stilistica, una sorta di arte “segreta”, quella del graffito, in genere nascosta al grande pubblico e considerata un’arte “non permanente”; essa infatti può durare pochi mesi o settimane o addirittura pochi giorni prima che qualcuno la cancelli con altra arte. Vonjako vuole catturarne l’istante dell’esistenza, accentuandone l’immagine con l’aiuto di un accessorio di bellezza: l’occhiale da sole “appoggiato” diventa un omaggio di bellezza al ritratto simbolo del graffito ed al contempo un filtro attraverso il quale i diversi personaggi ci guardano e noi ci guardiamo in loro. La mostra prosegue fino al 1° di Marzo al M.A.C. e successivamente dal 2 all’11 marzo verrà ospitata nello spazio di Noema Gallery in via Solferino.

The Art of Shade. Vonjako "NOVACANE" Vernon. On the wall of the Novacane Strip Club. James Haunt

"Non posso pensare senza i miei occhiali" (Vonjako)
01 Mar

"Non posso pensare senza i miei occhiali" (Vonjako)

Con gli occhiali di Kant, sui nasi di Voltaire (citando il testo di Angelo Crespi sul catalogo della mostra), i personaggi della Street Art ci guardano nelle fotografie di Vonjako. Inaugura al M.A.C., Musica Arte Cultura, il 26 Febbraio alle 19 la mostra The Art of Shade, progetto di fotografia fineart dell’autore Vonjako presentato dalla Fondazione Maimeri in collaborazione con Noema Gallery. Andrea Jako Giacomini, italiano, regista pluripremiato e fotografo, vive da circa 20 anni a Los Angeles.
In questa città inizia il progetto quasi per divertimento, avendo avuto in regalo dal suo amico Saturnino un paio di prototipi unici dei suoi occhiali da sole. L’intento è quello di “scovare” e documentare con una sua originale cifra stilistica, una sorta di arte “segreta”, quella del graffito, in genere nascosta al grande pubblico e considerata un’arte “non permanente”; essa infatti può durare pochi mesi o settimane o addirittura pochi giorni prima che qualcuno la cancelli con altra arte. Vonjako vuole catturarne l’istante dell’esistenza, accentuandone l’immagine con l’aiuto di un accessorio di bellezza: l’occhiale da sole “appoggiato” diventa un omaggio di bellezza al ritratto simbolo del graffito ed al contempo un filtro attraverso il quale i diversi personaggi ci guardano e noi ci guardiamo in loro. La mostra prosegue fino al 1° di Marzo al M.A.C. e successivamente dal 2 all’11 marzo verrà ospitata nello spazio di Noema Gallery in via Solferino.

The Art of Shade. Vonjako Sx "Minnie" Art District. Max Thirteen.
Dx "Holly Queen" Thai Town. La Reyna di Thai Town. Collaboration  and Retna.

"C’è chi si mette degli occhiali da sole per avere più carisma e sintomatico mistero" (Vonjako - Flight of the navigator)
01 Mar

"C’è chi si mette degli occhiali da sole per avere più carisma e sintomatico mistero" (Vonjako - Flight of the navigator)

Con gli occhiali di Kant, sui nasi di Voltaire (citando il testo di Angelo Crespi sul catalogo della mostra), i personaggi della Street Art ci guardano nelle fotografie di Vonjako. Inaugura al M.A.C., Musica Arte Cultura, il 26 Febbraio alle 19 la mostra The Art of Shade, progetto di fotografia fineart dell’autore Vonjako presentato dalla Fondazione Maimeri in collaborazione con Noema Gallery. Andrea Jako Giacomini, italiano, regista pluripremiato e fotografo, vive da circa 20 anni a Los Angeles.
In questa città inizia il progetto quasi per divertimento, avendo avuto in regalo dal suo amico Saturnino un paio di prototipi unici dei suoi occhiali da sole. L’intento è quello di “scovare” e documentare con una sua originale cifra stilistica, una sorta di arte “segreta”, quella del graffito, in genere nascosta al grande pubblico e considerata un’arte “non permanente”; essa infatti può durare pochi mesi o settimane o addirittura pochi giorni prima che qualcuno la cancelli con altra arte. Vonjako vuole catturarne l’istante dell’esistenza, accentuandone l’immagine con l’aiuto di un accessorio di bellezza: l’occhiale da sole “appoggiato” diventa un omaggio di bellezza al ritratto simbolo del graffito ed al contempo un filtro attraverso il quale i diversi personaggi ci guardano e noi ci guardiamo in loro. La mostra prosegue fino al 1° di Marzo al M.A.C. e successivamente dal 2 all’11 marzo verrà ospitata nello spazio di Noema Gallery in via Solferino.

The Art of Shade. Vonjako "Flight of the navigator" West Hollywood (futurist portrait on the side of Allan Jeffries Framing store). El Mac

Non parlare, non agire, non ridere. (Vanessa Beecroft VB 16 NY 1996)
26 Feb

Non parlare, non agire, non ridere. (Vanessa Beecroft VB 16 NY 1996)

In mostra a Milano a Palazzo Reale fino al 6 maggio 2018 c'è "Italiana. L’Italia vista dalla moda 1971-2001". Un progetto in forma di mostra e libro, ideato e curato da Maria Luisa Frisa e Stefano Tonchi, che intende celebrare, e raccontare, la moda italiana in un periodo seminale, evidenziando la progressiva messa a fuoco e l’affermazione del sistema italiano della moda nella grandiosa stagione del Made in Italy. Un periodo formidabile di creatività culturale che cementa relazioni e scambi tra gli esponenti di quelle generazioni italiane di artisti, architetti, designer e intellettuali che hanno impostato le rotte della presenza italiana nella cultura internazionale.
La mostra intende anche celebrare l’importante anniversario dei sessant’anni di Camera Nazionale della Moda Italiana.
La narrazione di Italiana procede per concetti e visioni in un sofisticato paesaggio progettuale. Un immaginifico e rigoroso caleidoscopio creativo, in cui dialogano gli oggetti, gli stili e le atmosfere che definiscono la cultura italiana e gli attori, protagonisti e comprimari, che compongono l’affresco corale della moda italiana.
I ricavi della mostra saranno devoluti a CNMI Fashion Trust.

ITALIANA. Vanessa Beecroft VB 16, Deitch Projects, NY 1996