#SelfieadArte

Pure rubber (The Cal Pirelli, Form and Desire @ Palazzo Reale)
16 Gen

Pure rubber (The Cal Pirelli, Form and Desire @ Palazzo Reale)

Fino al 22 febbraio 2015, Palazzo Reale a Milano ospita la mostra "Forma e Desiderio. The Cal - Collezione Pirelli" che presenta una selezione di circa 200 fotografie tratte dai Calendari Pirelli dalla nascita a oggi.

Diventato in breve tempo un oggetto di culto, il Calendario da più di cinquant’anni interpreta i cambiamenti sociali e culturali e anticipa le tendenze delle nuove mode, attraverso l’occhio attento dei più celebrati autori contemporanei, da Herb Ritts a Richard Avedon, da Peter Lindberg a Bruce Weber, da Peter Beard a Steve McCurry, da Patrick Demarchelier a Steven Meisel.

Fuoriclasse (The Cal Pirelli, Form and Desire @ Palazzo Reale)
16 Gen

Fuoriclasse (The Cal Pirelli, Form and Desire @ Palazzo Reale)

Fino al 22 febbraio 2015, Palazzo Reale a Milano ospita la mostra "Forma e Desiderio. The Cal - Collezione Pirelli" che presenta una selezione di circa 200 fotografie tratte dai Calendari Pirelli dalla nascita a oggi.

Diventato in breve tempo un oggetto di culto, il Calendario da più di cinquant’anni interpreta i cambiamenti sociali e culturali e anticipa le tendenze delle nuove mode, attraverso l’occhio attento dei più celebrati autori contemporanei, da Herb Ritts a Richard Avedon, da Peter Lindberg a Bruce Weber, da Peter Beard a Steve McCurry, da Patrick Demarchelier a Steven Meisel.

Zwei Sterne  ^_^  (The Cal Pirelli, Form and Desire @ Palazzo Reale)
16 Gen

Zwei Sterne ^_^ (The Cal Pirelli, Form and Desire @ Palazzo Reale)

Fino al 22 febbraio 2015, Palazzo Reale a Milano ospita la mostra "Forma e Desiderio. The Cal - Collezione Pirelli" che presenta una selezione di circa 200 fotografie tratte dai Calendari Pirelli dalla nascita a oggi.

Diventato in breve tempo un oggetto di culto, il Calendario da più di cinquant’anni interpreta i cambiamenti sociali e culturali e anticipa le tendenze delle nuove mode, attraverso l’occhio attento dei più celebrati autori contemporanei, da Herb Ritts a Richard Avedon, da Peter Lindberg a Bruce Weber, da Peter Beard a Steve McCurry, da Patrick Demarchelier a Steven Meisel.

Sara Ray, Black Tar Day
06 Gen

Octopussy (Sara Ray, Mother of the Road)

"Il termine Kustom Kulture, molto diffuso nella cultura americana, comincia a riscuotere grande interesse anche qui da noi in diversi linguaggi visivi contemporanei. L’espressione deriva dall’underground usa e si sviluppa a partire dagli anni ’50 ma trova negli ultimi decenni una crescita più articolata e complessa.

Custom (la lettera K è usata in nome di una licenza poetica) si riferisce al consumatore, ovvero colui che non si limita a utilizzare un oggetto così come viene prodotto ma vuole personalizzarlo con interventi minimi oppure stravolgerlo fino a renderlo irriconoscibile. In termini filosofici si può dire che è l’esatto contrario del mercato di massa e dell’omologazione: non più tutti uguali in nome di una moda o una tendenza, ma tutti diversi, unici, irripetibili, in nome invece di un irresistibile voler essere al di sopra delle mode.

Kustom Kulture si applica dunque alle motociclette –oggi le Special risultano molto più attraenti dei modelli di serie- alle automobili –con il fenomeno delle Hot Rod (letteralmente bielle roventi, vetture spesso storiche, notevolmente modificate e truccate nel motore e nella carrozzeria con le tipiche decorazioni flaming)- ma anche alle arti visive, in particolare alla pittura, e al design.

Sarà per la sua inesausta ricerca in questo campo –le sue biciclette sono quanto di più vicino alla cultura del do it yourself- da un po’ di tempo Antonio Colombo ha messo il naso sul fenomeno americano ripromettendosi di portare in Italia un assaggio di questa meravigliosa tendenza. Dice di aver voluto “mettere le mani nel mito americano e sporcarmele. That’s why. Io che guido male brutte automobili, non mi ubriaco mai, non ho tatuaggi e non so suonare nemmeno il mandolino, non la Stratocaster”. Capita così che “un bel giorno, ossessionato dalle immagini da una vita, ho voluto capire di più un mondo affascinante, eccessivo, volgare e mitico che risponde al nome di Hot Rod e Kustom Kulture. Il sogno americano che tutti o quasi sognano, vento tra capelli lunghi, velocità, musica ZZ Top e un po’ di Eagles, grafiche che forse riuscivo a fare anch’io sui banchi del Liceo Ginnasio statale Giosuè Carducci”.

Ecco come è nata l’idea di chiedere ad Anthony Ausgang, che aveva esposto qualche stagione fa in una personale da me curata, di raccogliere una serie di protagonisti e non di questo straordinario mondo. Autoincludendosi ovviamente nella scelta.

Insieme, noi tre, abbiamo condiviso discussioni, fascino e grandi sogni. Per una volta il mio ruolo abituale di curatore passa in secondo piano per svolgere, volentieri, quello di raccordo tra Milano e l’America. Passo la parola ad Ausgang che ci racconta chi sono alcuni tra i protagonisti della Kustome Kulture a stelle e strisce. Per un pubblico di fans, addicted, appassionati e curiosi."

Luca Beatrice

 

Sara Ray, Mother of the Road

 

 

Sara Ray, Black Tar Day
06 Gen

Molestamente, piaccio (Stevie Gee @ KustomKulture)

"Il termine Kustom Kulture, molto diffuso nella cultura americana, comincia a riscuotere grande interesse anche qui da noi in diversi linguaggi visivi contemporanei. L’espressione deriva dall’underground usa e si sviluppa a partire dagli anni ’50 ma trova negli ultimi decenni una crescita più articolata e complessa.

Custom (la lettera K è usata in nome di una licenza poetica) si riferisce al consumatore, ovvero colui che non si limita a utilizzare un oggetto così come viene prodotto ma vuole personalizzarlo con interventi minimi oppure stravolgerlo fino a renderlo irriconoscibile. In termini filosofici si può dire che è l’esatto contrario del mercato di massa e dell’omologazione: non più tutti uguali in nome di una moda o una tendenza, ma tutti diversi, unici, irripetibili, in nome invece di un irresistibile voler essere al di sopra delle mode.

Kustom Kulture si applica dunque alle motociclette –oggi le Special risultano molto più attraenti dei modelli di serie- alle automobili –con il fenomeno delle Hot Rod (letteralmente bielle roventi, vetture spesso storiche, notevolmente modificate e truccate nel motore e nella carrozzeria con le tipiche decorazioni flaming)- ma anche alle arti visive, in particolare alla pittura, e al design.

Sarà per la sua inesausta ricerca in questo campo –le sue biciclette sono quanto di più vicino alla cultura del do it yourself- da un po’ di tempo Antonio Colombo ha messo il naso sul fenomeno americano ripromettendosi di portare in Italia un assaggio di questa meravigliosa tendenza. Dice di aver voluto “mettere le mani nel mito americano e sporcarmele. That’s why. Io che guido male brutte automobili, non mi ubriaco mai, non ho tatuaggi e non so suonare nemmeno il mandolino, non la Stratocaster”. Capita così che “un bel giorno, ossessionato dalle immagini da una vita, ho voluto capire di più un mondo affascinante, eccessivo, volgare e mitico che risponde al nome di Hot Rod e Kustom Kulture. Il sogno americano che tutti o quasi sognano, vento tra capelli lunghi, velocità, musica ZZ Top e un po’ di Eagles, grafiche che forse riuscivo a fare anch’io sui banchi del Liceo Ginnasio statale Giosuè Carducci”.

Ecco come è nata l’idea di chiedere ad Anthony Ausgang, che aveva esposto qualche stagione fa in una personale da me curata, di raccogliere una serie di protagonisti e non di questo straordinario mondo. Autoincludendosi ovviamente nella scelta.

Insieme, noi tre, abbiamo condiviso discussioni, fascino e grandi sogni. Per una volta il mio ruolo abituale di curatore passa in secondo piano per svolgere, volentieri, quello di raccordo tra Milano e l’America. Passo la parola ad Ausgang che ci racconta chi sono alcuni tra i protagonisti della Kustome Kulture a stelle e strisce. Per un pubblico di fans, addicted, appassionati e curiosi."

Luca Beatrice

 

Opera di Stevie Gee

 

 

Sara Ray, Black Tar Day
06 Gen

Smoking hot! (Sara Ray, Black Tar Day)

"Il termine Kustom Kulture, molto diffuso nella cultura americana, comincia a riscuotere grande interesse anche qui da noi in diversi linguaggi visivi contemporanei. L’espressione deriva dall’underground usa e si sviluppa a partire dagli anni ’50 ma trova negli ultimi decenni una crescita più articolata e complessa.

Custom (la lettera K è usata in nome di una licenza poetica) si riferisce al consumatore, ovvero colui che non si limita a utilizzare un oggetto così come viene prodotto ma vuole personalizzarlo con interventi minimi oppure stravolgerlo fino a renderlo irriconoscibile. In termini filosofici si può dire che è l’esatto contrario del mercato di massa e dell’omologazione: non più tutti uguali in nome di una moda o una tendenza, ma tutti diversi, unici, irripetibili, in nome invece di un irresistibile voler essere al di sopra delle mode.

Kustom Kulture si applica dunque alle motociclette –oggi le Special risultano molto più attraenti dei modelli di serie- alle automobili –con il fenomeno delle Hot Rod (letteralmente bielle roventi, vetture spesso storiche, notevolmente modificate e truccate nel motore e nella carrozzeria con le tipiche decorazioni flaming)- ma anche alle arti visive, in particolare alla pittura, e al design.

Sarà per la sua inesausta ricerca in questo campo –le sue biciclette sono quanto di più vicino alla cultura del do it yourself- da un po’ di tempo Antonio Colombo ha messo il naso sul fenomeno americano ripromettendosi di portare in Italia un assaggio di questa meravigliosa tendenza. Dice di aver voluto “mettere le mani nel mito americano e sporcarmele. That’s why. Io che guido male brutte automobili, non mi ubriaco mai, non ho tatuaggi e non so suonare nemmeno il mandolino, non la Stratocaster”. Capita così che “un bel giorno, ossessionato dalle immagini da una vita, ho voluto capire di più un mondo affascinante, eccessivo, volgare e mitico che risponde al nome di Hot Rod e Kustom Kulture. Il sogno americano che tutti o quasi sognano, vento tra capelli lunghi, velocità, musica ZZ Top e un po’ di Eagles, grafiche che forse riuscivo a fare anch’io sui banchi del Liceo Ginnasio statale Giosuè Carducci”.

Ecco come è nata l’idea di chiedere ad Anthony Ausgang, che aveva esposto qualche stagione fa in una personale da me curata, di raccogliere una serie di protagonisti e non di questo straordinario mondo. Autoincludendosi ovviamente nella scelta.

Insieme, noi tre, abbiamo condiviso discussioni, fascino e grandi sogni. Per una volta il mio ruolo abituale di curatore passa in secondo piano per svolgere, volentieri, quello di raccordo tra Milano e l’America. Passo la parola ad Ausgang che ci racconta chi sono alcuni tra i protagonisti della Kustome Kulture a stelle e strisce. Per un pubblico di fans, addicted, appassionati e curiosi."

Luca Beatrice

 

Sara Ray, Black Tar Day

 

 

Una donna di strada (Ugo La Pietra, Un pezzo di strada nella stanza o un pezzo di stanza nella strada?)
26 Dic

Una donna di strada (Ugo La Pietra, Un pezzo di strada nella stanza o un pezzo di stanza nella strada?)

Triennale Design Museum presenta la prima grande mostra monografica sul lavoro di Ugo La Pietra dal 1960 a oggi con l’obiettivo di mettere in luce l’aspetto umanistico di questo progettista eclettico. Questa mostra si inserisce in un percorso tracciato da Silvana Annicchiarico, direttore del Triennale Design Museum, che rivendica la continuità di una ricerca volta a rivalutare i non allineati, gli eretici, i sommersi, da Gino Sarfatti a Piero Fornasetti, via via fino a Ugo La Pietra.

Architetto di formazione, artista, cineasta (e attore), editor, musicista, fumettista, docente, Ugo La Pietra rimane un osservatore critico della realtà, che ha sondato, analizzato, criticato, amato, riprogettato con una profondità rara, disvelando le contraddizioni insite nella cultura e nella società. In termini teorici la sua completa attività - così eterogenea e complessa da risultare di difficile collocazione critica e disciplinare - è da interpretare come una lunga militanza all’interno della categoria dell’anti-progetto.

La sua attività compie oggi mezzo secolo e ha attraversato momenti molto significativi della storia contemporanea, come gli anni Sessanta di una Brera capitale della cultura, gli anni della Contestazione dei Settanta; l’avvento della comunicazione mediatica di massa e i relativi effetti sul mondo domestico e psicologico degli Ottanta.

Attraverso una selezione di oltre 1.000 opere, la mostra è strutturata secondo un percorso che, dalle origini concettuali del suo pensiero, si “manifesta” attraverso un racconto - per ricerche e sperimentazioni, oggetti e ambienti - che dall’individuo si propaga verso l’osservazione, la riappropriazione, la progettazione dello spazio e della realtà.

 

Ugo La Pietra, Un pezzo di strada nella stanza o un pezzo di stanza nella strada?, 1979

Santa Clelia - headshot (Ugo La Pietra, Ruota Luminosa Tissurata)
26 Dic

Santa Clelia - headshot (Ugo La Pietra, Ruota Luminosa Tissurata)

Triennale Design Museum presenta la prima grande mostra monografica sul lavoro di Ugo La Pietra dal 1960 a oggi con l’obiettivo di mettere in luce l’aspetto umanistico di questo progettista eclettico. Questa mostra si inserisce in un percorso tracciato da Silvana Annicchiarico, direttore del Triennale Design Museum, che rivendica la continuità di una ricerca volta a rivalutare i non allineati, gli eretici, i sommersi, da Gino Sarfatti a Piero Fornasetti, via via fino a Ugo La Pietra.

Architetto di formazione, artista, cineasta (e attore), editor, musicista, fumettista, docente, Ugo La Pietra rimane un osservatore critico della realtà, che ha sondato, analizzato, criticato, amato, riprogettato con una profondità rara, disvelando le contraddizioni insite nella cultura e nella società. In termini teorici la sua completa attività - così eterogenea e complessa da risultare di difficile collocazione critica e disciplinare - è da interpretare come una lunga militanza all’interno della categoria dell’anti-progetto.

La sua attività compie oggi mezzo secolo e ha attraversato momenti molto significativi della storia contemporanea, come gli anni Sessanta di una Brera capitale della cultura, gli anni della Contestazione dei Settanta; l’avvento della comunicazione mediatica di massa e i relativi effetti sul mondo domestico e psicologico degli Ottanta.

Attraverso una selezione di oltre 1.000 opere, la mostra è strutturata secondo un percorso che, dalle origini concettuali del suo pensiero, si “manifesta” attraverso un racconto - per ricerche e sperimentazioni, oggetti e ambienti - che dall’individuo si propaga verso l’osservazione, la riappropriazione, la progettazione dello spazio e della realtà.

 

Ugo La Pietra, Ruota luminosa tissurata, 1968

Santa Clelia - half bust shot (Ugo La Pietra, Arcangeli metropolitani)
26 Dic

Santa Clelia - half bust shot (Ugo La Pietra, Arcangeli metropolitani)

Triennale Design Museum presenta la prima grande mostra monografica sul lavoro di Ugo La Pietra dal 1960 a oggi con l’obiettivo di mettere in luce l’aspetto umanistico di questo progettista eclettico. Questa mostra si inserisce in un percorso tracciato da Silvana Annicchiarico, direttore del Triennale Design Museum, che rivendica la continuità di una ricerca volta a rivalutare i non allineati, gli eretici, i sommersi, da Gino Sarfatti a Piero Fornasetti, via via fino a Ugo La Pietra.

Architetto di formazione, artista, cineasta (e attore), editor, musicista, fumettista, docente, Ugo La Pietra rimane un osservatore critico della realtà, che ha sondato, analizzato, criticato, amato, riprogettato con una profondità rara, disvelando le contraddizioni insite nella cultura e nella società. In termini teorici la sua completa attività - così eterogenea e complessa da risultare di difficile collocazione critica e disciplinare - è da interpretare come una lunga militanza all’interno della categoria dell’anti-progetto.

La sua attività compie oggi mezzo secolo e ha attraversato momenti molto significativi della storia contemporanea, come gli anni Sessanta di una Brera capitale della cultura, gli anni della Contestazione dei Settanta; l’avvento della comunicazione mediatica di massa e i relativi effetti sul mondo domestico e psicologico degli Ottanta.

Attraverso una selezione di oltre 1.000 opere, la mostra è strutturata secondo un percorso che, dalle origini concettuali del suo pensiero, si “manifesta” attraverso un racconto - per ricerche e sperimentazioni, oggetti e ambienti - che dall’individuo si propaga verso l’osservazione, la riappropriazione, la progettazione dello spazio e della realtà.

 

Ugo La Pietra, Arcangeli metropolitani, 1977

Spicchi specchi (Christian Megert, Spiegelscherbenbuch)
20 Dic

Spicchi specchi (Christian Megert, Spiegelscherbenbuch)

Al Guggenheim Museum di New York, ZERO Countdown to Tomorrow, 1950s–60s.
La mostra, dal 10 ottobre 2014 al 7 gennaio 2015, dedicata al Gruppo Zero costituisce, di fatto, la prima retrospettiva su larga scala in un museo degli Stati Uniti dedicato alla storia del gruppo sperimentale di artisti tedeschi Zero (1957-1966 ) e a ZERO, un network internazionale di artisti che ha condiviso la volontà di ridefinire e trasformare l’arte dopo la seconda guerra mondiale.

La mostra presenta lavori dai tre membri principali del Gruppo Zero – Heinz Mack, Otto Piene, Günther Uecker e – e da più di 30 artisti provenienti da 10 paesi che costituivano la grande rete internazionale di ZERO, tra i quali Lucio Fontana, Yayoi Kusama, Yves Klein, Piero Manzoni, Jesús Rafael Soto, Jean Tinguely, e Herman de Vries. Artisti che hanno incominciato a utilizzare nuovi materiali tratti dalla vita quotidiana e dalla natura per la realizzazione di opere d’arte cinetica e azioni artistiche live.

ZERO Countdown to Tomorrow, 1950s–60s rappresenta un focus sulla storia di un gruppo artistico rilevante e, al contempo, un ritratto di una intera generazione.

 

Christian Megert, Spiegelscherbenbuch, 1962