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Keith Haring a Palazzo Reale
22 Feb

Keith Haring a Palazzo Reale

A Milano, a Palazzo Reale, dal 21 febbraio al 18 giugno 2017 c'è “Keith Haring - About Art”.

La regola che vuole che ogni artista abbia dei debiti nei confronti della grande arte del passato è a volte, quando si tratta di artisti moderni, difficile da verificarsi con immediatezza.
Quando poi l'artista in questione ha un tratto talmente inconfondibile e unico da essere immediatamente identificabile, e si immedesima più che mai con la modernità - e non solo a livello stilistico - il compito è a volte ancora più arduo.

Haring, artista emblematico dell'ultima grande rivoluzione controculturale e urbana - quella degli anni ottanta, dell'Hip-hop e della street art - attinge invece a piene mani - secondo la visione del curatore Gianni Mercurio - alla grande storia dell'arte del vecchio continente. E la mostra pone il focus proprio su questo aspetto.

Come i grandi padri del rap classico si rifacevano fortemente - pur nella loro quasi clamorosa originalità - a tradizioni come quelle black, dal blues al soul, o quelle europee della nuova musica elettronica, Haring fu grande osservatore della tradizione artistica. E non solo; la fame di cultura dell'artista, onnivora, spaziava dalla letteratura al cinema, dalla saggistica alla semiologia.

La mostra, promossa e prodotta dal Comune di Milano-Cultura, Palazzo Reale, 24 ORE Cultura , con il prezioso contributo della Keith Haring Foundation , presenta 110 opere, molte di dimensioni monumentali e inedite. E, a dimostrazione del rapporto tra Haring e la storia dell'arte, il percorso espositivo pone i lavori dell'artista americano in dialogo con le sue fonti di ispirazione: dall'arte classica a quella precolombiana, dalle figure archetipiche alle creazioni degli indigeni del Pacifico e a quelli americani, da Bosch a Masaccio passando per il Rinascimento e fino ai maestri del Novecento come Pollock, Chagall o Klee.

Haring, in netta controtendenza rispetto agli artisti pop - nel senso di popolari, da Dalì in poi, passando per Warhol per arrivare all'evanescente Banksy, che fa della sua assenza una grande presenza - tutto fu fuorché un personaggio mediatico.

La sua arte, fatta di schemi ripetitivi, è più un segno grafico che pittura. Eppure la sua forza, l'impatto estetico dei suoi lavori, è dirompente. E questo è dovuto alla potenza del suo messaggio sociale e politico, che seppe farsi segno dei tempi.

Fino alla sua morte fulminea e prematura, nel 1990, lavorò senza sosta per comunicare le sue opinioni, attraverso le sue visioni. Fu tra l’altro proprio in Italia, sulla parete esterna della canonica di Sant'Antonio abate a Pisa, che l’artista eseguì uno dei suoi più importanti lavori: “Tuttomondo”, ovvero il più grande murale europeo. La sua ultima opera pubblica, l’unica pensata per rimanere permanente.
Eppure questa esposizione dimostra che, nonostante i limiti oggettivi che la street art pone alla volontà di eternare, quando il messaggio è forte e il segno è irripetibile, l’arte resta per sempre.