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Fino al 24 settembre 2017, Palazzo Reale di Milano ospita la rassegna antologica dedicata a Vincenzo Agnetti (1926 – 1981), l’artista concettuale italiano che ha trasformato la parola in immagini iconiche e l’immagine in poesia.

La mostra A cent’anni da adesso, promossa e prodotta da Comune di Milano-Cultura, Palazzo Reale e Archivio Agnetti, curata da Marco Meneguzzo insieme all’Archivio Agnetti, ci invita, attraverso un’analisi critica e “sentimentale”, a riscoprire l’universo artistico di Vincenzo Agnetti cogliendone l’originalità, il rigore critico, la poetica e la straordinaria contemporaneità.

Sono esposte più di cento opere, realizzate tra il 1967 e il 1981, che nel loro insieme restituiscono un’immagine chiara del percorso dell’artista: la sua tensione poetica e visionaria, lo spiccato interesse per l’analisi dei processi creativi e per l’arte come statuto, il suo ruolo di investigatore linguistico e di sovvertitore dei meccanismi del potere, inclusi quelli della parola scritta, detta, tradotta in immagini limpide ed evocative, perché per Agnetti tutto è linguaggio: “Immagini e parole fanno parte di un unico pensiero. A volte la pausa, la punteggiatura è realizzata dalle immagini a volte invece è la scrittura stessa.”

La parola in tutte le sue opere non si limita dunque ai rapporti semiologici, come spesso accade nell’arte concettuale di quegli anni, piuttosto realizza immagini, suggerisce indagini, costruisce narrazioni. Agnetti utilizza il paradosso visivo e concettuale per creare cortocircuiti interpretativi pronti per essere elaborati e rivisitati dall’osservatore, affidando al pensiero di chi guarda lo sviluppo e il senso di quanto ha scritto e immaginato. Per lui è sempre stato importante che il visitatore continuasse a vedere la mostra, con gli occhi della mente, anche dopo essere uscito dalla galleria.

“Con questo appuntamento riscopriremo uno dei più grandi artisti concettuali – afferma Marco Meneguzzo - Il suo concettualismo è diverso da quello anglosassone, americano, e anche da quello europeo; quello di Vincenzo Agnetti ha un risvolto metafisico e letterario, pieno della nostra cultura, vorrei dire mediterraneo, se oggi questo aggettivo non apparisse riduttivo”.

La parabola artistica di Agnetti è stata breve, muore a soli 54 anni nel 1981, ma così intensa e tumultuosa da rendere difficile tenerne le tracce in maniera compiuta. Per questo, forse, è in realtà ancora poco conosciuto e quindi da riscoprire nella sua poliedrica complessità; la mostra A cent’anni da adesso va in questa direzione.

Vincenzo Agnetti & Paolo Scheggi - Trono, 1970

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Alla Villa Reale di Monza fino al 10 gennaio 2016 c’è “Bellissima – L’Italia dell’Alta moda 1945-1968“. Il titolo richiede un’attenzione particolare: non si tratta, infatti, di una mostra sull’alta moda italiana, ma sull’Italia dell’alta moda. Il focus è posto sul nostro paese, nel momento più creativo e produttivo – dagli anni del boom fino a quelli delle grandi lotte sociali – e vuole sottolineare le sinergie e le collaborazioni che in quegli anni intercorrevano tra gli artisti italiani… compresi i grandi sarti.

Ecco quindi che vediamo opere di Lucio Fontana, Getulio Alviani o Paolo Scheggi accanto alle creazioni di grandi sarti italiani con cui questi artisti si ritrovarono – ancor più che a collaborare – in uno stato di complicità; Da Mila Schön a Germana Maruccelli, e poi ancora Valentino, Simonetta, Emilio Schuberth, Fendi, le Sorelle Fontana… e, importantissima, una selezione di gioielli di Bulgari.

La mostra è un ritratto della nostra cultura in un momento di creatività straordinaria, che, in quegli anni, portò l’Italia a primeggiare nell’industria, ma anche nel cinema, nell’arte, nel teatro, nel design, e nella fotografia. E con ognuna di queste storie di crescita, l’alta moda italiana interagiva e cresceva a sua volta. E accompagnava, con la propria inarrestabile ascesa, il miracolo italiano.

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