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Per la prima volta in Italia, l’incredibile mostra-spettacolo dedicata a Marc Chagall. Una forma del tutto inedita di vivere l’arte, una grande emozione che mette insieme spettacolo, musica, tecnologia e arte. Per la prima volta, il pubblico ha piena contezza di certi dettagli meravigliosi del suo fare artistico, nonché di alcune opere della collezione del Musée National Marc Chagall di Nizza. In questo nuovo modo di fruire l’opera il visitatore-spettatore è in grado di percepire l’enorme densità e la ricchezza espressiva del mondo onirico di Chagall. Accanto alle opere pittoriche, lo spettacolo mostra i suoi collages, le sue vetrate, i mosaici e tutta l’ampiezza del talento artistico di Chagall, in un assieme che inonda lo spazio scenico di colori vivi e cangianti, caratteristici della sua pittura, impregnata di un’atmosfera lirica e poetica. Perché l’opera è tutta attorno, a 360 gradi, mentre il racconto e la musica procedono, parte integrante dell’opera stessa, in una nuova ed emozionante conoscenza dell’arte. Forse quella che molti artisti hanno sognato e che ha come fine ultimo non solo la meraviglia e la capacità di stupire ed emozionare, ma quella di raccontare coinvolgendo l’immaginazione e i sensi dello spettatore, che diviene attore e protagonista del sogno che sta vivendo.

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Per la prima volta in Italia, l’incredibile mostra-spettacolo dedicata a Marc Chagall. Una forma del tutto inedita di vivere l’arte, una grande emozione che mette insieme spettacolo, musica, tecnologia e arte. Per la prima volta, il pubblico ha piena contezza di certi dettagli meravigliosi del suo fare artistico, nonché di alcune opere della collezione del Musée National Marc Chagall di Nizza. In questo nuovo modo di fruire l’opera il visitatore-spettatore è in grado di percepire l’enorme densità e la ricchezza espressiva del mondo onirico di Chagall. Accanto alle opere pittoriche, lo spettacolo mostra i suoi collages, le sue vetrate, i mosaici e tutta l’ampiezza del talento artistico di Chagall, in un assieme che inonda lo spazio scenico di colori vivi e cangianti, caratteristici della sua pittura, impregnata di un’atmosfera lirica e poetica. Perché l’opera è tutta attorno, a 360 gradi, mentre il racconto e la musica procedono, parte integrante dell’opera stessa, in una nuova ed emozionante conoscenza dell’arte. Forse quella che molti artisti hanno sognato e che ha come fine ultimo non solo la meraviglia e la capacità di stupire ed emozionare, ma quella di raccontare coinvolgendo l’immaginazione e i sensi dello spettatore, che diviene attore e protagonista del sogno che sta vivendo.

 

Marc Chagall - Le Pont de Passy et la Tour Eiffel, 1911

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Per la prima volta in Italia, l’incredibile mostra-spettacolo dedicata a Marc Chagall. Una forma del tutto inedita di vivere l’arte, una grande emozione che mette insieme spettacolo, musica, tecnologia e arte. Per la prima volta, il pubblico ha piena contezza di certi dettagli meravigliosi del suo fare artistico, nonché di alcune opere della collezione del Musée National Marc Chagall di Nizza. In questo nuovo modo di fruire l’opera il visitatore-spettatore è in grado di percepire l’enorme densità e la ricchezza espressiva del mondo onirico di Chagall. Accanto alle opere pittoriche, lo spettacolo mostra i suoi collages, le sue vetrate, i mosaici e tutta l’ampiezza del talento artistico di Chagall, in un assieme che inonda lo spazio scenico di colori vivi e cangianti, caratteristici della sua pittura, impregnata di un’atmosfera lirica e poetica. Perché l’opera è tutta attorno, a 360 gradi, mentre il racconto e la musica procedono, parte integrante dell’opera stessa, in una nuova ed emozionante conoscenza dell’arte. Forse quella che molti artisti hanno sognato e che ha come fine ultimo non solo la meraviglia e la capacità di stupire ed emozionare, ma quella di raccontare coinvolgendo l’immaginazione e i sensi dello spettatore, che diviene attore e protagonista del sogno che sta vivendo.

 

Marc Chagall - Stained-glass window at Chichester Cathedral, 1978

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Cairo (2012 - Matteo Procaccioli)

Lunedì, 15 Febbraio 2016

Alla Permanente di Milano fino al 18 febbraio c’è Microcities, di Matteo Procaccioli.
Curata da Luca Beatrice, la mostra è un’esposizione essenziale del lavoro del fotografo marchigiano, e rappresenta il risultato della più recente coniugazione dell’artista del soggetto tradizionale dei suoi scatti. Ovvero, il paesaggio urbano.

Il percorso di Procaccioli, partito inizialmente con una evidente ricerca di verticalità tramite un punto di ripresa dal basso di monumentali strutture architettoniche, passa ora ad un cambio di visuale, necessario per una riconsiderazione del rapporto tra le strutture e lo spazio: intere città – dagli stati uniti alla cina passando per il medioriente – vengono infatti riprese dall’alto, ponendo in evidenza la loro collocazione nel contesto delle forme naturali che le circondano, e facendosi in questo modo apparentemente piccole.

Un approccio che si rende assolutamente segno dei tempi, identificando il punto di vista dello spettatore con quello che è oggi sempre più familiare, in un’epoca in cui con google maps stiamo imparando a riconoscere le città non solo dallo skyline, ma anche dalla flatline; e in cui i droni, rendono sempre più comune la ripresa aerea.

Ma la caratteristica sostanziale delle fotografie di Procaccioli è quella di ritrarre le città, svuotate dall’ evidenza dell’uomo, e tramite questa renderne implicita la presenza. A tratti pare quasi di sorvolare, in silenzio come in una capsula spaziale, non già la Terra, ma Marte; e questo effetto di straniamento, al cospetto di quello che è invece il pianeta che abitiamo, porta a riflettere sul rapporto che effettivamente abbiamo con esso.

 

Matteo Procaccioli, Cairo (2012)

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Alla Permanente di Milano fino al 18 febbraio c’è Microcities, di Matteo Procaccioli.
Curata da Luca Beatrice, la mostra è un’esposizione essenziale del lavoro del fotografo marchigiano, e rappresenta il risultato della più recente coniugazione dell’artista del soggetto tradizionale dei suoi scatti. Ovvero, il paesaggio urbano.

Il percorso di Procaccioli, partito inizialmente con una evidente ricerca di verticalità tramite un punto di ripresa dal basso di monumentali strutture architettoniche, passa ora ad un cambio di visuale, necessario per una riconsiderazione del rapporto tra le strutture e lo spazio: intere città – dagli stati uniti alla cina passando per il medioriente – vengono infatti riprese dall’alto, ponendo in evidenza la loro collocazione nel contesto delle forme naturali che le circondano, e facendosi in questo modo apparentemente piccole.

Un approccio che si rende assolutamente segno dei tempi, identificando il punto di vista dello spettatore con quello che è oggi sempre più familiare, in un’epoca in cui con google maps stiamo imparando a riconoscere le città non solo dallo skyline, ma anche dalla flatline; e in cui i droni, rendono sempre più comune la ripresa aerea.

Ma la caratteristica sostanziale delle fotografie di Procaccioli è quella di ritrarre le città, svuotate dall’ evidenza dell’uomo, e tramite questa renderne implicita la presenza. A tratti pare quasi di sorvolare, in silenzio come in una capsula spaziale, non già la Terra, ma Marte; e questo effetto di straniamento, al cospetto di quello che è invece il pianeta che abitiamo, porta a riflettere sul rapporto che effettivamente abbiamo con esso.

 

Matteo Procaccioli, Casablanca (2012)

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Duhok (2012 - Matteo Procaccioli)

Lunedì, 15 Febbraio 2016

Alla Permanente di Milano fino al 18 febbraio c’è Microcities, di Matteo Procaccioli.
Curata da Luca Beatrice, la mostra è un’esposizione essenziale del lavoro del fotografo marchigiano, e rappresenta il risultato della più recente coniugazione dell’artista del soggetto tradizionale dei suoi scatti. Ovvero, il paesaggio urbano.

Il percorso di Procaccioli, partito inizialmente con una evidente ricerca di verticalità tramite un punto di ripresa dal basso di monumentali strutture architettoniche, passa ora ad un cambio di visuale, necessario per una riconsiderazione del rapporto tra le strutture e lo spazio: intere città – dagli stati uniti alla cina passando per il medioriente – vengono infatti riprese dall’alto, ponendo in evidenza la loro collocazione nel contesto delle forme naturali che le circondano, e facendosi in questo modo apparentemente piccole.

Un approccio che si rende assolutamente segno dei tempi, identificando il punto di vista dello spettatore con quello che è oggi sempre più familiare, in un’epoca in cui con google maps stiamo imparando a riconoscere le città non solo dallo skyline, ma anche dalla flatline; e in cui i droni, rendono sempre più comune la ripresa aerea.

Ma la caratteristica sostanziale delle fotografie di Procaccioli è quella di ritrarre le città, svuotate dall’ evidenza dell’uomo, e tramite questa renderne implicita la presenza. A tratti pare quasi di sorvolare, in silenzio come in una capsula spaziale, non già la Terra, ma Marte; e questo effetto di straniamento, al cospetto di quello che è invece il pianeta che abitiamo, porta a riflettere sul rapporto che effettivamente abbiamo con esso.

 

Matteo Procaccioli, Duhok (2012)

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