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Mimmo Pladino - Senza titolo, 2005
Dal 1985 il dialogo tra pittura e scultura per Paladino si fa più serrato e le installazioni di grandi dimensioni si basano sempre più sulle combinazioni di elementi scultorei figurativi con scansioni pittoriche monocromatiche. Nella sala a lui dedicata al Madre l’insieme formato dagli ermetici segni graffiati sulla superficie grezza delle pareti e la scultura aggettante nello spazio assumono un rilievo ambientale che immerge lo spettatore in una totalità epifanica.
 
George Brecht - La donna dei nodi, 1973
Le leggi generali del caso e delle coincidenze, il paradosso, l’evidenza banale degli oggetti quotidiani sono le coordinate con cui Brecht costruisce i suoi lavori, in cui l’elemento ironico è spesso sottilmente predominante. Nel 1990 l’artista espone per una nota galleria napoletana in cui La donna dei nodi viene mostrata al pubblico per la seconda volta dalla sua realizzazione ma con significativi interventi. La scultura fù ‘spogliata’ delle garze che la ricoprivano e che ne impedivano il disvelarsi allo sguardo. La genesi dell’opera coincide, secondo le modalità di azione Fluxus, con il lavoro stesso e la scultura si compone nel tempo riallacciando diversi frammenti, frutto di un processo collettivo: la corda con i nodi, realizzata da una persona di nome Deutsch e vista in una birreria di Colonia dove Brecht si recò nel 1973 con amici napoletani; la visita alla cava di marmo a Carrara, tempo dopo; e, infine, l’improvvisa immagine, comparsa sulla strada per Milano, di una donna distesa che stringeva nella mano una corda annodata.
 
Christian Leperino - The Other Myself, 2014
Il corpo e l’attenzione ai temi di attualità sono al centro anche dell’opera The Other Myself, vincitrice dell’edizione 2014 del contest ShowYourself@Madre. Ventuno volti allineati su tre livelli, sculture in gesso bianco ottenute grazie al procedimento del calco, costituiscono la traccia di storie drammatiche ma spesso invisibili, che qui riaffermano la propria presenza. Le donne e gli uomini ritratti sono infatti migranti e rifugiati politici incontrati a Napoli, coinvolti dall’artista in un laboratorio di scultura durante il quale sono stati realizzati i calchi dei loro volti. La materia assorbe e restituisce le loro storie, che rivivono attraverso i lineamenti e le espressioni dei diretti protagonisti. Il dialogo tra presenza e assenza, identità e alterità, il corpo e la sua immagine, fa da sfondo a una riflessione sull’identità, sulla possibilità di riconoscersi e incontrarsi nell’altro da sé. Racconta Leperino: “Il titolo è arrivato pensando alle parole di Abraham, mio amico ivoriano, davanti alla sua testa in gesso: ‘è bella, è un altro me’. L’altro me stesso”
 
Richard Long - Line of Chance, 2005
L’arte di Richard Long si sviluppa attorno ad una ricerca di equilibrio e fusione fra la natura allo stato “primo” e le rappresentazioni geometriche astratte primordiali dell’uomo. La cultura e la natura nella loro forma più assoluta, universale, schematica e sintetica. Il mondo naturale in totale assenza dell’uomo insieme alle configurazioni ancestrali della volontà e della capacità della nostra specie di comunicare e di marcare la propria visione e la propria presenza della realtà su questo pianeta, la sua attitudine a riordinarla secondo regole matematiche. Nell’installazione per il Madre, un elemento primordiale come il fango, l’unione dell’acqua con la terra, distribuito orizzontalmente sulle pareti della stanza imprime la sua identità arcaica costituendo simultaneamente il materiale e il messaggio dell’opera.
 
Sol LeWitt - 10,000 Lines, 2005
Nell’arte concettuale, di cui LeWitt negli anni sessanta è stato uno dei padri fondatori, l’idea o appunto il concetto rappresenta l’aspetto più importante dell’opera d’arte. Ogni decisione sull’esecuzione e sulla presentazione di un’opera d’arte è presa antecedentemente e la sua realizzazione diviene un aspetto secondario, tanto che può essere attuata da chiunque purché si rispettino le istruzioni dell’artista, la precisa esplicazione della sue intenzioni, della sua idea. Per usare le parole dell’artista, l’idea diventa lo strumento che produce l’arte. Questa definizione è esemplificata dai suoi celebri Wall Drawings, come quelli selezionati per la sua sala al Madre.
 
Francesco Clemente - Ave Ovo, 2005
Protagonista sin dalla fine degli anni Settanta della Transavanguardia, teorizzata da Achille Bonito Oliva, Francesco Clemente ha successivamente maturato un profilo artistico sempre più solitario e innovativo che ne ha accresciuto la fama e il successo internazionale. Nel corso della sua carriera, ha attraversato, sviluppato, abbandonato e poi ripreso temi, ossessioni (es. il sesso) tecniche e formati diversi ad intervalli irregolari con l’incoerenza disinvolta di un monologo interiore, con la cadenza imprevedibile del flusso della coscienza dell’individuo, apice ed origine del suo lavoro. Dopo la retrospettiva dell’ottobre 2003 al Museo Nazionale, che ha segnato il ritorno di Clemente a Napoli, città nativa nella quale non aveva mai esposto la propria opera, l’artista ha realizzato per il Madre un affresco di proporzioni monumentali, articolato in due sale, e un pavimento in ceramica, ripercorrendo con la memoria dell’infanzia luoghi e simboli antichi di Napoli.
 
Jannis Kounellis - Senza titolo, 2005
Nell’installazione creata appositamente per il Madre, la stanza a lui dedicata è bloccata longitudinalmente da una grande struttura di ferro, che lascia trasparire la luce da vetri colorati monocromi, come una versione contemporanea e critica delle vetrate delle grandi cattedrali gotiche e della centralità del ruolo dell’arte al loro tempo. Una grande ancora arrugginita appoggia il suo peso, anche metaforico, sul pavimento, dando vita a una concatenazione di rimandi al ruolo storico dell’affaccio di Napoli sul mare e sulla sua rappresentazione nella storia dell’arte non solo locale.
 
Anish Kapoor - Dark Brother, 2005
Tra i protagonisti della scultura inglese degli anni Ottanta, Anish Kapoor con i pigmenti attinti dalla tradizione decorativa indiana della serie Mille Nomi, con le pietre o le grandi strutture concave, con le sue sculture di metallo specchiante, oscilla con risultati eccellenti tra solidità e trasparenza, tra geometrico ed organico, tra pieno e vuoto, ridefinendo ed ampliando il concetto di scultura nell’arte. La sua poetica implode e al contempo intensifica ed approfondisce le relazioni binarie, le energie opposte, le antitesi che costituiscono il mondo visibile ed il pensiero astratto attraverso una visione che, mai narrativa o didascalica, coagula ed armonizza la tensione dinamica e la sottile interazione tra forze, corporeità e sembianze antitetiche. Nell’incavo sul pavimento della sua sala al Madre, Kapoor con un grande effetto di spiazzamento, veicola lo sguardo dello spettatore verso l’infinito e verso le viscere della madre terra.
 
Giulio Paolini - Dilemma, 2005
Una delle sue prime opere significative è Disegno geometrico del 1960: una tela sulla quale ha portato a termine solamente un procedimento preliminare, ossia la quadratura geometrica, anticipazione di ogni possibile rappresentazione. I lavori di Paolini sono sempre incentrati sui temi specifici dell”arte e progressivamente inerenti ad ambiti sempre più vasti che sottraggono unicità all’opera per conferire ad essa la possibilità di alludere ad infinite esistenze possibili. Un campionario degli strumenti e delle tecniche della pittura e del disegno degli anni 1960-64 compare nei quadri (barattoli di vernice, pennelli, telai, preparazione della tela, quadrettatura). Spesso i suoi lavori ripropongono l’immagine di loro stessi all’interno dello spazio che li ospita. Le riflessioni sul concetto di azione sono ricavate in genere da innesti testuali: opere riprodotte in fotografia, dipinti di altri artisti, calchi in gesso, antiche stampe e brani letterari. Mentre nei progetti di mostre ad essere analizzato è il rapporto tra le opere e lo spazio espositivo o il comportamento che al suo interno assume lo spettatore, come nell’installazione creata appositamente per il Madre.
 
Daniel Buren - Axer / Désaxer. Lavoro in situ, 2015
Il lavoro dell'artista è costituito da un intervento di dimensioni architettoniche, concepito appositamente per l’atrio del museo. Affacciato in modo obliquo rispetto alla via antistante, l’edificio del museo viene fatto “ruotare” dall’intervento artistico per rimettersi in asse verso l’antistante Via Settembrini: attraverso strisce di marmo bianche e nere di 8,7 cm (una delle caratteristiche ricorrenti degli interventi in situ dell’artista) il pavimento dell’ingresso suggerisce un’inedita via di fuga e un potenziale asse prospettico rettilinei all’asse stradale, facendo in modo che il museo esca da se stesso per abbracciare la città intorno, mentre una struttura-padiglione, composta da superfici colorate e di specchi, riverbera ed esalta questa assonometria immaginaria. Così l’artista agisce sul punto di vista dello spettatore, creando uno spazio di mobilità percettiva, di visione, mediazione, attrazione e comunione reciproche, in cui interno ed esterno, museo e comunità si compenetrano l’uno nell’altro. Ogni visitatore è accolto e invitato, letteralmente a colpo d’occhio, a far parte dell’opera, a partecipare alla relazione che essa celebra fra la sfera istituzionale e le dinamiche pubbliche.
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Il percorso del museo del 900 termina con una sala dedicata ad alcuni tra i maggiori esponenti dell’Arte Povera, da Luciano Fabro a Mario Merz, da Gilberto Zorio a Giuseppe Penone.

l'Arte povera è una corrente artistica che nasce nell'ambito della cosiddetta arte concettuale in aperta polemica con l'arte tradizionale, della quale rifiuta tecniche e supporti per fare ricorso, appunto, a materiali "poveri" come terra, legno, ferro, stracci, plastica, scarti industriali, con l'intento di evocare le strutture originarie del linguaggio della società contemporanea dopo averne corroso abitudini e conformismi semantici. Un'altra caratteristica del lavoro degli artisti del movimento è il ricorso alla forma dell'installazione, come luogo della relazione tra opera e ambiente, e a quella dell"azione" performativa.
Germano Celant, il critico d'arte al quale si devono il nome, afferma che l'arte povera si manifesta essenzialmente "nel ridurre ai minimi termini, nell'impoverire i segni, per ridurli ai loro archetipi".
Gran parte degli artisti del gruppo - Giovanni Anselmo, Jannis Kounellis, Mario Merz, Giuseppe Penone, Michelangelo Pistoletto - manifestano un interesse esplicito per i materiali utilizzati mentre alcuni - segnatamente Alighiero Boetti e Giulio Paolini – hanno fin dall'inizio una propensione più concettuale.
L'obiettivo di questi artisti è quello di superare l'idea tradizionale secondo cui l'opera d'arte occupa un livello di realtà sovratemporale e trascendente.
 
 
Luciano Fabro: "Contatto. Tautologia" (1967-2001)
Fabro è uno dei protagonisti più significativi del rinnovamento artistico sviluppatosi a Milano negli anni sessanta. La sua ricerca prende le mosse dal superamento dello spazio bidimensionale della tela proposto da Lucio Fontana.
Nelle opere di quegli anni l'artista s’interroga sulla rappresentazione del mondo fondata sulla scatola prospettica rinascimentale e imposta una sua personale via di approfondimento che ricava stimolo e linfa dall’arte del passato, invece di opporsi, con i modi più esteriori dell’avanguardia, alla tradizione.
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Alla Triennale di Milano, a cura di Vincenzo de Bellis, c’è “Ennesima“.

Parlare di questa rassegna come di una mostra, però, è impreciso. Ed è altrettanto impreciso definirla come una mostra sull’arte italiana degli ultimi cinquant’anni.

Ennesima, che prende il nome da un’opera di Giulio Paolini esposta, si presenta come un insieme di sette diverse mostre concatenate tra loro. Si tratta, in realtà, di una mostra su come fare mostre.
Una metaesposizione quindi, con cui il curatore ha voluto quasi fare una mostra sulla curatela stessa, a partire dall’epoca in cui l’arte diventa definitivamente segno dei tempi.

Resterà alla Triennale fino al 6 marzo 2016.

 

Luciano Fabro, Due nudi che scendono le scale ballando il Boogie-Woogie -1989

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