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Il LACMA è il più grande museo enciclopedico degli Stati Uniti a ovest di Chicago, con quasi un milione di visitatori all'anno e più di 10.000 opere d'arte, che spaziano dalla preistoria all'arte contemporanea.

Michael Heizer "Levitated mass" (2012)
L'opera è composta da una trincea in cemento armato lunga 140 metri e larga 5, al di sopra della quale è posto un enorme masso di granito, alto 6,5 metri e del peso di 308 tonnellate, sostenuto da due mensole di acciaio. Le limitate dimensioni degli appoggi, rispetto alle dimensioni del masso, danno l'impressione che esso sia "sospeso in aria". Heizer trovò il blocco monolitico di granito in una cava nei pressi di Jurupa Valley, nella contea di Riverside, distante 90 km da Los Angeles. Il trasporto è stato eseguito tramite un trasportatore appositamente costruito, lungo 90 metri e dotato di 206 ruote. Il percorso effettivo, considerando la necessità di usare solo strade adatte a questo trasporto eccezionale, è stato di 170 km. Viaggiando solo di notte, il masso ha raggiunto il luogo di installazione in 11 giorni..

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Il LACMA è il più grande museo enciclopedico degli Stati Uniti a ovest di Chicago, con quasi un milione di visitatori all'anno e più di 10.000 opere d'arte, che spaziano dalla preistoria all'arte contemporanea.

Tony Smith "Smoke" (1967)
L'opera è diventato un'icona del LACMA sin dalla sua installazione del 2008 nell'atrio di Ahmanson Building, dove anima lo spazio di transizione tra il campus orientale e quello occidentale del museo. Oltre ad essere una delle sculture più grandi mai concepite da Smith (e la più grande concepita per uno spazio interno), Smoke riflette l'esplorazione permanente di modelli trovati nella vita organica e rappresenta il culmine del suo lavoro in architettura, pittura, disegno, e scultura.

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Il LACMA è il più grande museo enciclopedico degli Stati Uniti a ovest di Chicago, con quasi un milione di visitatori all'anno e più di 10.000 opere d'arte, che spaziano dalla preistoria all'arte contemporanea.

Chris Burden "Urban Ligh" (2008)
L’opera è situata all'ingresso del Museo.
L’artista ha restaurato 202 lampioni degli anni ‘20 e ‘30. La maggior parte dei quali una volta illuminava le strade della california del sud. Sono di 17 stili diversi e le luci sono alimentate da energia solare dal tramonto all’alba.

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Mentre sta per aprire una grande mostra dedicata a Bellini, Timothy Potts, il direttore del Getty Museum, parla dei rapporti tra gli Stati Uniti e l’arte italiana. “Voi avete un tesoro immenso, ma per gestirlo al meglio non dovete avere paura dei finanziamenti privati”
 

Tra poco meno di un mese, al Getty Center di Los Angeles, aprirà la mostra "Giovanni Bellini: Paesaggi di Fede nella Venezia del Rinascimento". Si tratta dell'ennesimo riconoscimento, da parte dell'importante istituzione americana, nei confronti dell'arte italiana.

I rapporti tra il Getty e il nostro Paese sono sempre più votati a una intensa collaborazione: come testimoniato dalla recente restituzione dello "Zeus in Trono", ritornato a Napoli, dal frequente scambio di prestiti, dai lavori di conservazione di opere italiane effettuati dagli istituti di ricerca del Getty e, non ultimo, dalla nomina di Davide Gasparotto a Senior Curator of Paintings del museo. Una nomina fortemente voluta dal direttore del Getty: Timothy Potts, storico dell'arte e archeologo australiano formatosi dapprima all'università di Sidney e, in seguito, divenuto ricercatore a Oxford, dove si occupava di arte del vicino Oriente e di archeologia. Ha poi diretto gli scavi di Pella, in Giordania, passando in seguito alla carriera di direttore di museo dapprima alla Galleria nazionale di Victoria, al Kimbell Art Museum di Fort Worth (Texas) e infine al Fitzwilliam Museum di Cambridge, in Inghilterra.

Abbiamo incontrato Potts a Los Angeles, nel suo studio, presso il Getty Center, una delle due sedi espositive dell'istituzione.

Timothy Potts: l’arte italiana è senza dubbio centrale al Getty Museum. Quanto conta l'italianità di Davide Gasparotto nella sua scelta di nominarlo Senior Curator of paintings?

“È stata senz'altro una componente della decisione. Ma la cosa più importante è il fatto che sia un accademico di prima scelta, che abbia organizzato importantissime mostre, che sia tra i massimi esperti di pittura e scultura italiana: si tratta insomma della qualità assoluta della persona come studioso, come curatore, come figura che può accendere l'interesse verso l'arte italiana, e questo è importante per l'Europa e per l'arte occidentale in genere”.

Può raccontarci della restituzione dell’opera “Zeus in Trono”?

“Si tratta di un'opera che acquisimmo nel 1992 come parte di una grande collezione. Qualche anno fa le autorità italiane vennero da noi con un pezzo della scultura, dicendo che avrebbe combaciato con lo Zeus. Avevano delle informazioni - non sappiamo da dove - che sostenevano che fosse parte dello stesso oggetto. Effettivamente l’unione delle parti risultò perfetta, per cui fu evidente che se quel nuovo frammento veniva dall'Italia, così doveva essere per il resto della scultura. Che quindi decidemmo di restituire, e che ritornò a Napoli”.

Questa nuova relazione del Getty con le istituzioni italiane porterà anche a un'intensificazione dei rapporti dal punto di vista dello scambio e dei prestiti di opere?
“Certamente. Abbiamo già in corso delle discussioni: stiamo preparando una mostra sulle relazioni tra l'antico Egitto e il mondo classico, e prenderemo in prestito alcuni oggetti da Napoli per l’occasione. Inoltre stiamo facendo dei lavori di conservazione su alcuni oggetti del museo archeologico di Napoli. Questo rapporto non è una cosa nuova, onestamente, ma certamente si intensificherà, soprattutto dopo la riapertura della Getty Villa - che stiamo riorganizzando in chiave cronologica e non tematica - dove porteremo nuove opere e ci concentreremo sulle antiche culture italiane”.

Il Getty è contraddistinto da una serie costosissima di attività, pur mantenendo una politica di ingressi gratuiti…

“Devo dire che si tratta di quello che credo renda unico il nostro museo: noi abbiamo potuto beneficiare dei fondi di Mr. Getty, che era un uomo molto ricco e che lasciò un patrimonio come sovvenzione per il museo, e non soltanto: c'è stata una crescita da allora, e sono arrivati un istituto di ricerca, uno di conservazione. Questo è alla base della generosità che il Getty può offrire, facendo interventi su oggetti appartenenti ad altri musei, come quelli di Napoli, Roma e altrove. È parte della nostra mission fare cose che possano supportare la comprensione della storia dell'arte in tutto il mondo: non solo in Italia, ma anche in Cina, in India e in altri posti. Siamo quindi in una posizione privilegiata, abbiamo le risorse per avere un impatto positivo sulla divulgazione dell'arte del mondo, ed è quello che amiamo fare”.

Che suggerimento darebbe a un museo italiano? E se lavorasse in Italia, dove le piacerebbe lavorare?

“Credo che Roma abbia tutto. Ha tutto dall'VIII secolo avanti Cristo, da quando venne fondata, fino ai nostri giorni: quindi, se dovessi scegliere un posto, sarebbe Roma. L'Italia ha un patrimonio artistico che non è secondo a nessuno al mondo, e non le manca quindi certamente nulla dal punto di vista dell’‘avere’: la sfida è quella di saper gestire questi incredibili siti culturali, e i milioni di turisti che vengono a visitarli; occorre dar loro un'esperienza ricca di significato, non abbandonarli a una semplice visione superficiale dei posti. Bisogna dargli un livello di comprensione che non hanno mai avuto prima, ed è una grande sfida: così tanta gente, così tanti siti, così tante cose da fare e da vedere, e la maggior parte della gente passa non più di una settimana a Roma. La chiave è in questo, io non credo di avere la risposta ma sarebbe quello su cui personalmente mi concentrerei”.

Pensa che negli Stati Uniti questo obiettivo sia stato raggiunto?

“Non esiste la perfezione, e non esiste un risultato finale da raggiungere, si può sempre migliorare. Certamente, sono due realtà imparagonabili: credo ad esempio che noi al Getty si faccia un buon lavoro, ma abbiamo soltanto due siti da gestire. Ritengo che recentemente, sotto il ministro Franceschini, l'Italia abbia fatto un'ottima cosa con la nomina dei nuovi direttori di museo: non perché siano stranieri - la cittadinanza in sé non c'entra - ma perché sono state portate in Italia nuove visioni riguardo alle sfide di cui parlavo. È un passo avanti positivo, che renderà più professionale la gestione di queste istituzioni. Non perché gli italiani non fossero professionali: lo erano, ma restavano portatori di un’unica tradizione, di un unico modo di pensare e procedere. Credo che l'esperienza internazionale, che sia dagli USA, dall'Inghilterra o da qualsiasi altro posto sia preziosa per attivare una discussione su questi temi. Francesco Prosperetti a Roma ha fatto un buon lavoro, col Colosseo e tutto il resto, ma sono cose possibili se ci sono i fondi”.

Ecco, i fondi. In America avete importanti supporti dai privati…

“Sì. Si può trattare di lasciti, come nel nostro caso al Getty, o del contributo di molti grandi collezionisti che credono nell'arte e nei musei e immettono ingenti quantità di denaro. Il Metropolitan di New York è basato per la maggior parte su denaro privato. Penso che sia un grosso errore pensare di dover delegare ogni cosa ai fondi statali, e purtroppo in Europa c'è ancora un atteggiamento quasi sospettoso verso i finanziamenti dei privati: si pensa che ci debba essere dietro qualcosa di commerciale, e che in qualche modo l'operazione possa essere compromessa e poco pulita. In realtà il problema ‘potrebbe’ esistere, ma se tutto viene fatto bene e in trasparenza il risultato non può che essere positivo. Il successo dei musei negli USA deriva da questo, e i privati che immettono denaro lo fanno con intenti positivi e nobili, credendo nell'importanza della storia dell'arte”.

 

 

Pubblicato in Il Giornale

Los Angeles: non solo Hollywood, non solo Mulholland Drive, Venice Beach o la Walk of Fame: noi siamo andati oltreoceano e oltre per visitare un museo che non solo è uno dei più importanti al mondo, ma soprattutto spicca per l’onore reso all’arte italiana: il Getty Center di Los Angeles. Inaugurato nel 1997, il Getty Center è una sorta di moderna acropoli composta da 11 edifici circondati da meravigliosi spazi verdi.
Il suo creatore, l’architetto Richard Meier, parla del Center come dell’idea romantica di ricreare delle città italiane sulla collina; inoltre per l’articolazione degli edifici si rifà ad antiche ville romane come la Villa Adriana di Tivoli.
Ma è soprattutto tra le opere esposte che la nostra arte viene grandemente celebrata al Getty. Oltre all’arte antica esposta nella Villa, la permanente del Center espone opere di grandissimo pregio dal medioevo al diciannovesimo secolo.
Come dice Timothy Potts, direttore del Getty Museum, il nostro paese rappresenta un tesoro sorprendentemente rigoglioso di meraviglie sceniche, tra opere d’arte, edifici storici e panorami emozionanti. E l’attenzione riposta dal Getty Museum nei confronti dell’Italia dell’arte è testimoniata anche dalla presenza di Davide Gasparotto, dal 2015 Senior Curator dei dipinti del museo.

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