Le “Visioni” di Amanda Lear pittrice
Decidere di andare a vedere la mostra di Amanda Lear ripromettendosi di evitare in ogni modo – o comunque, per quanto più possibile – di parlare di altro, della sua storia, di Dalì e di Bowie, di Brian Jones, di Voules-Vouz e di Cocktail d’Amore, è un proposito sicuramente onorevole. Perché si tratta comunque di una mostra, si tratta di opere di una pittrice – sebbene Amanda sia nota più per altre sue attività – che non sarebbe giusto sminuire parlando d’altro.
Questo il pensiero, prima di andare all’inaugurazione di “Visioni”, presso la Milano Art Gallery, organizzata da Salvo Nugnes, in esposizione dal 31 Luglio al 24 Agosto 2013. Ritrovandosi però poi a scrivere della mostra, dell’incontro, e di Amanda, ci si rende conto che non pensare all’Amanda artista in ogni sua sfaccettatura, e – che le piaccia o meno – archetipo della musa moderna, non è cosa poi così buona e giusta. L’Amanda pittrice è tale anche perché ha vissuto la vita che ha vissuto e che continua a vivere: tanto è vero che, come lei stessa sostiene, i quadri che dipinge sono quasi le cose non dette, inespresse, non urlate, che vivono solo in lei stessa anche proprio in conseguenza di quella che è la sua vita e in quello che è il suo mondo.
Non serve però, alla fine, accennare alla sua storia. Basta solo tenerne conto, e darle l’importanza che senz’altro merita.
Per il resto ci sono le risposte che Amanda Lear, Pittrice, mi ha dato.
Non posso evitare di farle una domanda legata a Dalì. Lui sosteneva che le donne non hanno talento e che mai una donna avrebbe potuto essere una buona pittrice…
Sì, è vero. Diceva che la pittura è un mestiere da uomo, non so perché.
E’ anche vero però che quando ha visto le sue prime opere ha detto: “Non male per essere una donna”…
“Per una donna”, appunto. Non mi ha detto “non male!” e punto. E io mi sono offesa, e ho pensato “cretino”. Chiaramente lui era proprio il macho tipico spagnolo. Allora mi dissi vabbeh, lasciamo perdere.
Questa mostra ci fa conoscere uno degli aspetti della sua espressione, e tutti gli artisti poliedrici hanno una forma espressiva nella quale più si ritrovano. Qual è la sua?
Assolutamente la pittura. Generalmente tutto quello che faccio è il risultato di un lavoro di team: la musica con i musicisti, il teatro con i registi e gli attori, la televisione… Invece con la pittura sono completamente da sola. E’ una cosa molto più intima, molto più personale. E per questo ci tengo tantissimo; senza contare che comunque ho sempre dipinto da quando facevo le Belle Arti e penso che dipingerò fino alla morte.
Ora le faccio una domanda di estrema originalità: che cosa sono queste visioni?
Sono loro che hanno deciso questo titolo… “Visioni”… è quello che ho in testa. Piuttosto “Immaginazioni”. Ci sono dei paesaggi, ma sono paesaggi che invento, non mi metto davanti a un paesaggio, ce l’ho in testa. Anche tutti questi soggetti come San Sebastiano, Penelope, Ulisse, Mida… il Mito mi ispira molto. Tendo comunque a rappresentare scenari onirici, piuttosto che dipingere un piatto, una bottiglia e un po’ di uva. Non faccio spesso le nature morte… no, c’è troppa violenza, ho dentro di me parecchia angoscia, inquietudine, ribellione, e tutto questo deve uscire. Sai, nel lavoro che faccio c’è chi si droga, chi va in analisi, hanno tutti bisogno di estraniarsi… e io con la pittura ti assicuro che mi sento molto meglio. Io torno a casa, e dipingo. È proprio una terapia, mi fa sentire bene, mi sfogo, è come andare dallo psicanalista.
La sua è la storia di una musa o è la storia di un’ artista?
Mah, la storia della musa… Continuano a dirmi ancora adesso che sono la musa di Jean Paul Gaultier, la musa di di Givenchy, la musa di quello e di quell’altro. Io ancora non ho capito bene questa cosa della musa, il muso, la musa…
Essere lì quando l’artista sta creando la sua opera… il fatto che tu sia lì sembrerebbe implicare che tu contribuisca a farlo sentire bene, a dargli un po’ di ispirazione… ma non penso che sia poi questo gran lavoro. Meglio sentirsi artisti in prima persona, perchè da me stessa io creo delle cose: io dipingo, io recito, io canto… Faccio delle cose, mentre la musa non fa “un cazzo” (sic), si mette lì come un oggetto…
Non mi piace essere un oggetto.
Meglio artista.