De Chirico: mistero e poesia
L’Italia che apprezziamo è quella che anche in agosto, anche quando siamo in vacanza, riesce ad offrirci la possibilità di poter apprezzare l’arte. Sembra un discorso scontato, dato che praticamente ogni città o cittadina di questo Paese possiede opere architettoniche di rilevante valore artistico inserite nel proprio tessuto urbano; ma il riferimento è relativo alle esposizioni.
Ecco quindi che ritrovarsi in vacanza nel Salento e grazie a questo fatto potersi godere – oltre al mare meraviglioso e a tutto il resto che questo territorio sa offrire – una mostra, per esempio, di Warhol (come fu l’anno scorso), o di Giorgio de Chirico (com’è quest’anno, sempre nella medesima location) rappresenta un piacevole diversivo alla classica villeggiatura estiva.
A ospitare l’esposizione “Mistero e Poesia”, dall’8 giugno al 29 settembre 2013, è la suggestiva cornice del Castello Aragonese di Otranto.
Una location – sia il castello, che il Salento stesso – che non sarebbe potuta non piacere a de Chirico, che basava sull’impressione e successiva rappresentazione di piazze e di musei gran parte della propria pittura e poetica, e che sosteneva che “Senza la scoperta del passato, non è possibile la scoperta del presente”: e la fortezza di Otranto, che racconta quasi un millennio di passato decisamente intenso, pare un contesto più che appropriato. Altrettanto si può dire del Salento, che è Grecia non solo Magna, ma tuttora viva (molte sono le comunità ellenofone, di origini antiche, presenti in questa zona): e la Grecia – paese natale, tra l’altro, del Maestro – rappresenta il fulcro di quell’universo mitologico, legato alla storia dei popoli mediterranei, che nella visione di de Chirico è in grado di rendere dignità estetica ad ogni oggetto, anche il più umile, poiché inserito in un contesto dal passato illustre.
L’inserimento di elementi estranei, e quindi stranianti, in paesaggi di un’Italia in cui non esistono persone, ma solo grandi piazze, è peraltro la caratteristica principale e più nota della pittura di de Chirico.
Scriveva il Maestro:
“È già stato osservato più di una volta l’aspetto curioso che riescono ad acquistare letti, armadi, specchiere, divani, tavoli, quando ce li troviamo improvvisamente dinnanzi sulla strada, in uno scenario nel quale non siamo abituati a vederli: come accade in occasione di un trasloco, oppure in certi quartieri dove mercanti e rivenditori espongono fuori dalla porta, sul marciapiede, i pezzi principali della loro mercanzia. Tutti questi mobili ci appaiono sotto una luce nuova, raccolti in una strana solitudine: una profonda intimità nasce tra loro, e si direbbe che un misterioso senso di felicità serpeggi in questo spazio ristretto da loro occupato sul marciapiede (…) I mobili sottratti all’atmosfera che regna nelle nostre case ed esposti all’aperto suscitano in noi un’emozione che ci fa vedere anche la strada sotto una luce nuova. Una profonda impressione ci possono suscitare anche dei mobili disposti in un paesaggio deserto. Immaginiamoci una poltrona, un divano, delle seggiole, radunate in una piana della Grecia, deserta e ricoperta di rovine, oppure nelle prateria anonime della lontana America. Per contrasto anche l’ambiente naturale tutt’intorno assume un aspetto prima sconosciuto.”
E questi spazi surreali da lui inventati, luoghi inquietanti in cui però architetture classiche e prospettive di matrice rinascimentale tendono a rassicurare lo spettatore – nonostante le dissonanze date dagli elementi estranei e dall’assenza di vita, se non per occasionali e lontanissime sagome umane – saranno di fatto fortemente influenti sin dall’epoca del ventennio fascista nella effettiva realizzazione di edifici e piazze che richiameranno fortemente questi scenari.
Le sagome umane, dicevamo. Solamente delle minuscole appendici, nere, a delle ben più grandi ombre – altrettanto nere – che si stagliano sul terreno. L’essere umano è un’ombra, e laddove non sia tale è un manichino, o una statua antica. “Muse inquietanti”, custodi impersonali di spazi atemporali che non avrebbero potuto essere altrimenti, per essere in grado di abitare i suoi ambienti al contempo antichi ed estremamente moderni, o per meglio dire futuri – quasi apocalittici.
Non che De Chirico non facesse ritratti di figure umane. Ne faceva, eccome.
Ma la figura ritratta era praticamente sempre la stessa: la sua. Spesso con un ulteriore sé stesso – raffigurato magari in un quadro in cornice – sullo sfondo; o con sé stesso posto di fronte ad un busto classico, bianco, che ancora una volta lo ritrae. “Pictor Classicus Sum”, diceva intitolando uno dei suoi primi autoritratti; ed è tramite questi lavori che intende sottolineare il proprio rapporto con la pittura e la scultura classiche.
La mostra di Otranto illustra il percorso della sua opera all’insegna della Metafisica – intesa dal maestro come qualità eletta della pittura e non come caratteristica dei soggetti – che scorre lungo le diverse fasi stilistiche del suo lavoro: recupero della tradizione classica, surrealtà e riavvicinamenti alla realtà si intrecciano in un universo di mondi, linguaggi e codici differenti.
Da non perdere, se siete in zona.
Ottimo pretesto per visitare una terra meravigliosa, se non siete in zona.