Chandra Fanti, l'eterna ricerca della verità
Chandra Fanti, ternana di nascita e berlinese di rinascita, inizia lavorando sul legno. Sul quale in effetti non dipinge, ma opera delle incisioni, nel tentativo di oltrepassare l'involucro esterno, alla ricerca della profondità. Nella prima fase del suo percorso artistico usa sostanzialmente il supporto pittorico come una seconda pelle, e la pittura/incisione come una sorta di atto autolesivo tramite il quale poter recuperare il contatto con la realtà e la distinzione tra interno ed esterno.
Già da allora la sua opera è volta alla ricerca della conoscenza del sé, com'è tuttora: ma in seguito, e fino ad oggi, a quella iniziale fase di scarificazione ha man mano sostituito un approfondimento ulteriore. Per la piena conoscenza di sé stessi, infatti, occorre andare oltre al derma, e oltre ancora. Oltre la carne, nel profondo. Per arrivare, finalmente, al reale obiettivo dell'artista: la verità oltre il sé, l'annullamento dell'esperienza personale.
I quadri di Chandra Fanti raffigurano delle stanze mentali. Apparentemente oniriche, di certo fortemente simboliche, prendono spunto dalle sue esperienze: in esse, l'artista cerca di ricostruire sensazioni basate in parte sui suoi ricordi, ma svolti in chiave non autobiografica: nella sua ricerca di risposte, di verità, fa appello alle proprie rimembranze, ma lo fa rapportandole ad un inconscio collettivo. Utilizza i ricordi come strumento di analisi, certa che - nonostante si tenda a cercare la verità al di fuori di noi stessi- lo strumento migliore, che tutti abbiamo a portata di mano, sia di fatto la nostra essenza; compiendo un percorso che, dalle sensazioni e dalle esperienze, passi oltre, attraverso l'inconscio e fino all'ancestrale. Un dialogo interiore – svolto in spazi non fisici, ma mentali - che la accomuna, come lei stessa sottolinea, con la Louise Bourgeois di Cells.
In questo suo lavoro sulla memoria, che ricorda in parte quello compiuto da Saudek in fotografia, sono centrali i riferimenti ai fiumi dell'Ade; inteso non come “inferno” nel senso punitivo, ma come luogo profondo e metafisico da cui parte la rigenerazione stessa. Questi elementi emergono tutti in particolare nella serie delle stanze del Lete: il Lete è fiume dell'oblio, ove si immergevano gli umani per dimenticare ogni esperienza di vita, per poi rinascere. Al contrario, l'assenza dell'oblio è la verità: in greco, “lete” sta per oblio, e “aletheia”, ovvero verità, significa proprio assenza di oblio. L'artista annulla lo spazio ed il tempo nelle sue stanze, e anche l'esperienza personale perde i suoi limiti e diventa collettiva, per confrontarsi con l'oblio personale, alla ricerca della verità; e nel farlo, eliminando ogni coordinata, annulla i limiti della propria esperienza, per trovare una verità universale.
Elemento ricorrente nei quadri della Fanti è il cavallo: come spiega la pittrice, esso rappresenta per lei quello che la mitologia mesoamericana definisce un nahual, ovvero uno spirito guardiano ed un alleato, che aiuta a capirsi. E che l'artista utilizza come il cavallo di Troia di Ulisse, per riuscire meglio nell'impresa di oltrepassare le proprie barriere e penetrare nel proprio profondo. Dice lei stessa: “Il cavallo è ipersensibile, ha canali aperti che lo aiutano a capire le sensazioni di chi gli è vicino. È come se non avesse pelle, avverte l'animo delle persone e i cambiamenti nell'aria. Come l'artista”.