La 57ma Esposizione Internazionale d'Arte della Biennale di Venezia apre sabato 13 maggio, ancora una volta - come già nella precedente edizione - anticipando di un mese rispetto alle aperture precedenti.
Ed è nel segno della continuità che questa ennesima Biennale presieduta da Paolo Baratta si pone: ancora una volta il focus viene posto sull'osservazione del fenomeno della creazione artistica nel contesto contemporaneo e del rapporto tra l'artista e il pubblico, come già abbiamo potuto osservare nelle ultime tre edizioni.
Se Bice Curiger nel 2011 rivolse la sua attenzione all'illuminazione, alla percezione e al rapporto tra artista e spettatori, Massimiliano Gioni nel 2013 alle forze creative interiori che spingono l'uomo a divenire artefice per sé e per gli altri e Okwui Enwezor nell'ultima esposizione a come l'attuale "age of anxiety" sia decisiva nello stabilire l'imprescindibile legame tra l'arte e la realtà sociopolitica umana, Christine Macel chiude quest'anno il cerchio ponendo al centro della manifestazione l'Uomo Artista; indagandone profondamente i meccanismi, ciò che conduce, giorno dopo giorno, dal concetto all'opera ed infine al rapporto con il pubblico.
Il Presidente nel 2015, in occasione dell'ultima Biennale, parlava giustamente di una sorta di "trilogia" relativa alle tre esposizioni più recenti. Il discorso però non pare essere concluso, e l'approccio in forma di ricerca - caratteristica ormai peculiare delle esposizioni da lui presiedute - torna a manifestarsi in maniera decisa.
Baratta, oltre a ribadire - assieme a Macel - il concetto che l'arte sia un atto non di accomodamento o di consumo, ma di libertà e resistenza, vuole che il pubblico possa rendere l'arte stessa sempre più propria e considerare la Biennale come una dilatazione di sé, sottolineando nuovamente la funzione pedagogica dell'esposizione: non già come imposizione di un'idea, ma come accompagnamento alla conoscenza, che deve essere soprattutto emotiva piuttosto che letteraria. Lo scopo è quello di "fare scoprire che ci sono altri mondi che si possono desiderare": e per farlo, oltre al "viaggio" pianificato da Macel tramite i nove transpadiglioni tematici che indagano le ispirazioni e i temi degli artisti e li suddividono in "famiglie", questa esposizione si caratterizza per le molteplici iniziative volte all'incontro con l'artista in un contesto di fertile tempo libero. L'utilizzo del tempo libero - massima conquista della modernità assieme al benessere fisico - è una questione importante, e la soluzione proposta dall'artista è quello di usarlo per trasferirsi verso un mondo più vasto, più ampio e dilatato: un invito a essere dei coerenti cittadini del mondo, non solamente dei consumatori affrettati.
E pranzando e discutendo con gli artisti, o ancora osservando la loro quotidianità, ponendo l'attenzione sul loro otium inteso - come da etimo - in chiave costruttiva, piuttosto che sul negotium, cui attiene la parte più "professionale" dell'artista (per tacere della componente del "bellum", che Christine Macel ha giustamente escluso rispetto alla frase ciceroniana), il pubblico della Biennale può trarre preziose e illuminanti indicazioni, oltre che percepire l’importanza della figura dell’Artefice nel contesto sociopolitico odierno.
Abbiamo posto a Paolo Baratta tre domande.
Una nuova Biennale dalla forte connotazione sociopolitica. Rispetto alla precedente però non ci pare vi siano state “critiche” relative alla politicizzazione dell’esposizione...
Politicizzata" non è sinonimo di "politica": qualcosa è politicizzato quando ha una tinta particolare per quanto riguarda le ricette sul nostro futuro.
Ma è possibile fare arte contemporanea che non sia politica?
È possibile fare una Biennale che sia politica: la Biennale può essere altamente politica se parla di noi, cercando di aiutarci a conoscere meglio quello che siamo. E se nel mondo l'atteggiamento generale è quello di restringere i propri orizzonti a poche verità, a poche identità, a pochi frammenti una Biennale che insiste sul dilatare, insiste sul fatto che l'uomo sia tante cose insieme e attraverso molteplici e diversi padiglioni mostra al visitatore diversi specchi di sé stesso è una Biennale che sta facendo politica.
Quale è stata la reazione degli artisti all'idea del confronto e dell'incontro diretto col pubblico? Senza fare nomi, c'è stato qualcuno "da convincere"?
Non ne ho notizia. Piuttosto possono esserci degli impegni che non consentano alcune date.
Gli artisti in realtà sono abituati, ognuno di loro ha già il suo kit: le sue immagini, il suo video... Non vengono dalle caverne, hanno già la consuetudine di presentarsi e di presentare il proprio lavoro. Certamente farlo in questo modo, per dare l’occasione al visitatore di rapportarsi con loro, è meno comune: poter avere una certa dimestichezza con l'artista e la possibilità di fargli delle domande dirette intorno a un tavolo - che è, appunto, il momento dell'otium, il momento nel quale ciascuno cede un po' di sé stesso e si considera più libero, più autonomo - è una modalità particolare che avvicina, favorisce il dialogo e aiuta a capire e a capirsi. Chiaramente è stato fatto in funzione del pubblico più che non degli artisti, ma è stata da essi assolutamente condiviso. La decisione, l’idea è stata ovviamente della curatrice nel contesto del suo percorso: la tavola col cibo, diciamo, è stata apparecchiata da lei; ma poi chiaramente tutto ciò che capita è il risultato di un pieno accordo.
La 57ma Esposizione internazionale d'arte si intitola "Viva Arte Viva".
Un’edizione della Biennale di Venezia che si caratterizza per il suo focus insolito: l’Artista stesso.
È proprio questo il senso dato dalla curatrice, Christine Macel al titolo di quest’anno: un’indagine, un racconto della componente più viva dell’arte. Ovvero, l’Artefice.
Come dice lo stesso presidente Paolo Baratta, la Biennale - che, a prescindere dal tema di volta in volta scelto, pone una particolare attenzione al dialogo tra gli artisti e il pubblico - porta quest’anno al centro il dialogo stesso. E lo fa celebrando chi l’arte la crea, permettendo a noi tutti di accrescere e dilatare la nostra prospettiva.
Una sorta di neo-umanesimo insomma: che celebra non tanto l’uomo in quanto tale, ma la capacità dell’uomo - tramite l’arte - di non essere dominato dalle forze avverse della realtà.
E in cui l’atto artistico diventa atto di resistenza, di liberazione, di generosità; un gesto pubblico, che l’artista compie per tutti.
Nove sono i capitoli, ideali padiglioni trasversali e transnazionali, che - snodandosi lungo un percorso che vuole rappresentare un viaggio dall’interiorità all’infinito - riuniscono in sé altrettante “famiglie di artisti”, affiancandosi ai padiglioni tradizionali di 87 paesi.
Dall’indagine sul rapporto tra otium - inteso come momento in cui ci si lascia andare all’ispirazione - e negotium, ovvero l’aspetto professionale dell’attività raccontato nel primo padiglione, quello degli artisti e dei libri fino all’ultimo, quello del Tempo e dell’Infinito, che si focalizza sul rapporto con il flusso temporale e l’inevitabile morte, ogni approccio degli artisti con la vita, e con la sua rappresentazione, viene approfondito.
La celebrazione avviene anche tramite una serie di eventi paralleli che mettono in atto il dialogo tra l’artefice e lo spettatore: dalla Tavola Aperta, un pranzo bisettimanale con gli artisti trasmesso anche in streaming web, ai video di Pratiche d’Artista, che illustrano il suo modus operandi, fino al progetto La mia Biblioteca, che diventa reale ed ospita, nei giardini Stirling, le letture preferite dagli artisti.
Notevole è anche il fatto che dei 120 artisti invitati, ben 103 siano qui alla Biennale per la prima volta: segno evidente della fiducia riposta nei confronti dell’arte; o, per meglio dire, degli artisti.
La Biennale a Venezia sarà aperta al pubblico fino a domenica 26 novembre 2017.
Koki Tanaka
“Of Walking in Unknown” 2017
Nato nel 1975 a Tochigi, vive e lavora a Kyoto (Giappone)
Koki Tanaka si interessa delle esperienze e delle idee della vita di tutti i giorni, coinvolgendo con ironia la materialità quotidiana utilizzando oggetti comuni e allestendo azioni “normali”, tramite installazioni a tecnica mista. In questo modo sposta il focus dall’analisi dei comportamenti a cose piu banali e alla relazionalità, particolarmente al modello del collettivo.
La sua opera più recente, Of Walking in Unknown (2017), documenta quattro giorni di viaggio compiuti dall’artista per recarsi a piedi da casa sua, a Kyoto, fino alla più vicina centrale nucleare, e pare richiamare l’opera Imaginary Distance (or the distance from Fukushima), fatta coi neon a comporre la scritta “9478.57km”, realizzata nel 2013 per il Padiglione Giapponese.
La camminata va chiaramente oltre il contesto artistico, e vuole sensibilizzare la pubblica opinione sui potenziali disastri causati dall’uomo. Traducendo l’astrazione della misura di una distanza nell’esperienza fisica del suo tragitto, Tanaka vuole metterci in connessione con la propria realtà.
Takahiro Iwasaki (nato a Hiroshima)
“Out of Disorder” dalla mostra “Turned Upside Down, It’s a Forest”, pavilion of Japan.
Per la 57a edizione della biennale d’arte, il padiglione giapponese presenta una mostra personale dell’artista Takahiro Iwasaki. Una selezione di opere tridimensionali realizzate con oggetti familiari di tutti i giorni , lo spettacolo trasmette l’importanza di comprendere che tutto dipende dalla prospettiva e invita i visitatori ad abbracciare diversi modi di guardare.
Curato da Meruro Washida, il padiglione comprende una svolta completa del lavoro di Takahiro Iwasaki . Noto per la trasformazione di oggetti comuni con la sua bella opera artigianale, la mostra espone torri d’acciaio realizzate dai fili estratti da asciugamani e gru da costruzione da corde di libri legati a libri. Sempre riferendosi al suo luogo di nascita, l’artista giapponese utilizza la rappresentazione figurativa per fare piccoli interventi che producono un’impressione forte e duratura. Così come l’esperienza di hiroshima della bomba atomica, questi pezzi d’arte sanno che la potenza degli atomi di miniatura è così forte che può distruggere un’intera città.
Il titolo della mostra, “Turned Upside Down, It’s a Forest” si riferisce a un testo scritto dal romanziere veneziano Tiziano Scarpa, descrivendo come la città di Venezia è costruita su un numero infinito di pali guidati nella laguna.
L’opera “Out of Disorder” (Mountains and Sea), 2017. Lenzuola, asciugamani e abiti raccolti tra il Giappone e Venezia raccolti in cumuli sul pavimento; osservando da vicino – o infilando la testa nella fessura a cui si accede dall’esterno dell’edificio – si vede chiaramente che i fili dipanati dai tessuti formano tralicci dell’elettricità, montagne russe, rotaie ecc.
Rasheed Araeen (Pakistan, 1935, vive e lavora a Londra)
“Zero to Infinity in Venice” Arsenale
Dopo aver lasciato il Pakistan per trasferirsi a Londra nella metà degli anni sessanta, si afferma come uno dei pionieri dell’arte partecipativa con la sua opera “Chaar Yaar” (four friends), 1968. Attivista antirazzista e autore dell’influente mostra “The Other Story”, 1989, la prima retrospettiva modernista di arte africana, caraibica e asiatica in Inghilterra, è anche un precursore degli studi post-coloniali nel campo dell’arte.
Il progetto presentato alla Biennale, invita gli spettatori a ridisporre i cubi colorati della sua opera ricomponendola a proprio piacimento e creando così una moltitudine di combinazioni. Dietro quest’idea di interattività c’è il tentativo dell’artista di demolire le costruzioni simmetriche e rigide del minimalismo e del pensiero tradizionalista. Egli invita così gli spettatori ad entrare fisicamente in contatto con le strutture.
Apre al pubblico da sabato 13 maggio a domenica 26 novembre 2017, ai Giardini e all’Arsenale, la 57. Esposizione Internazionale d’Arte dal titolo VIVA ARTE VIVA, curata da Christine Macel e organizzata dalla Biennale di Venezia presieduta da Paolo Baratta.
La Mostra è affiancata da 87 Partecipazioni Nazionali negli storici Padiglioni ai Giardini, all’Arsenale e nel centro storico di Venezia. Sono 4 i paesi presenti per la prima volta: Antigua e Barbuda, Kiribati, Nigeria, Kazakistan (prima volta da solo).
Il Padiglione Italia alle Tese delle Vergini in Arsenale, sostenuto e promosso dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Direzione Generale Arte e Architettura Contemporanee e Periferie Urbane, è curato quest’anno da Cecilia Alemani.
La Mostra offre un percorso espositivo che si sviluppa intorno a nove capitoli o famiglie di artisti, con due primi universi nel Padiglione Centrale ai Giardini e sette altri universi che si snodano dall'Arsenale fino al Giardino delle Vergini. 120 sono gli artisti partecipanti, provenienti da 51 paesi; di questi 103 sono presenti per la prima volta.
«La Biennale si deve qualificare come luogo che ha come metodo, e quasi come ragion d'essere, il libero dialogo tra gli artisti e tra questi e il pubblico.»
Con queste parole il Presidente della Biennale Paolo Baratta presenta la Biennale Arte 2017, spiegando che «con la presente edizione si introduce un ulteriore sviluppo; è come se quello che deve sempre essere il metodo principale del nostro lavoro, l'incontro e il dialogo, diventasse il tema stesso della Mostra. Perché questa Biennale è proprio dedicata a celebrare, e quasi a render grazie, all'esistenza stessa dell'arte e degli artisti, che ci offrono con i loro mondi una dilatazione della nostra prospettiva e dello spazio della nostra esistenza.» «Una Mostra ispirata all'umanesimo, dice Christine Macel. Un umanesimo non focalizzato su un ideale artistico da inseguire, né tanto meno caratterizzato dalla celebrazione dell'uomo come essere capace di dominare su quanto lo circonda; semmai un umanesimo che celebra la capacità dell'uomo, attraverso l'arte, di non essere dominato dalle forze che governano quanto accade nel mondo, forze che se lasciate sole possono grandemente condizionare in senso riduttivo la dimensione umana.»
Claudia Fontes - The Horse Problem
Apre al pubblico da sabato 13 maggio a domenica 26 novembre 2017, ai Giardini e all’Arsenale, la 57. Esposizione Internazionale d’Arte dal titolo VIVA ARTE VIVA, curata da Christine Macel e organizzata dalla Biennale di Venezia presieduta da Paolo Baratta.
La Mostra è affiancata da 87 Partecipazioni Nazionali negli storici Padiglioni ai Giardini, all’Arsenale e nel centro storico di Venezia. Sono 4 i paesi presenti per la prima volta: Antigua e Barbuda, Kiribati, Nigeria, Kazakistan (prima volta da solo).
Il Padiglione Italia alle Tese delle Vergini in Arsenale, sostenuto e promosso dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Direzione Generale Arte e Architettura Contemporanee e Periferie Urbane, è curato quest’anno da Cecilia Alemani.
La Mostra offre un percorso espositivo che si sviluppa intorno a nove capitoli o famiglie di artisti, con due primi universi nel Padiglione Centrale ai Giardini e sette altri universi che si snodano dall'Arsenale fino al Giardino delle Vergini. 120 sono gli artisti partecipanti, provenienti da 51 paesi; di questi 103 sono presenti per la prima volta.
«La Biennale si deve qualificare come luogo che ha come metodo, e quasi come ragion d'essere, il libero dialogo tra gli artisti e tra questi e il pubblico.»
Con queste parole il Presidente della Biennale Paolo Baratta presenta la Biennale Arte 2017, spiegando che «con la presente edizione si introduce un ulteriore sviluppo; è come se quello che deve sempre essere il metodo principale del nostro lavoro, l'incontro e il dialogo, diventasse il tema stesso della Mostra. Perché questa Biennale è proprio dedicata a celebrare, e quasi a render grazie, all'esistenza stessa dell'arte e degli artisti, che ci offrono con i loro mondi una dilatazione della nostra prospettiva e dello spazio della nostra esistenza.» «Una Mostra ispirata all'umanesimo, dice Christine Macel. Un umanesimo non focalizzato su un ideale artistico da inseguire, né tanto meno caratterizzato dalla celebrazione dell'uomo come essere capace di dominare su quanto lo circonda; semmai un umanesimo che celebra la capacità dell'uomo, attraverso l'arte, di non essere dominato dalle forze che governano quanto accade nel mondo, forze che se lasciate sole possono grandemente condizionare in senso riduttivo la dimensione umana.»
Ernesto Neto - Um Sagrado Lugar (A Sacred Place)
Apre al pubblico da sabato 13 maggio a domenica 26 novembre 2017, ai Giardini e all’Arsenale, la 57. Esposizione Internazionale d’Arte dal titolo VIVA ARTE VIVA, curata da Christine Macel e organizzata dalla Biennale di Venezia presieduta da Paolo Baratta.
La Mostra è affiancata da 87 Partecipazioni Nazionali negli storici Padiglioni ai Giardini, all’Arsenale e nel centro storico di Venezia. Sono 4 i paesi presenti per la prima volta: Antigua e Barbuda, Kiribati, Nigeria, Kazakistan (prima volta da solo).
Il Padiglione Italia alle Tese delle Vergini in Arsenale, sostenuto e promosso dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Direzione Generale Arte e Architettura Contemporanee e Periferie Urbane, è curato quest’anno da Cecilia Alemani.
La Mostra offre un percorso espositivo che si sviluppa intorno a nove capitoli o famiglie di artisti, con due primi universi nel Padiglione Centrale ai Giardini e sette altri universi che si snodano dall'Arsenale fino al Giardino delle Vergini. 120 sono gli artisti partecipanti, provenienti da 51 paesi; di questi 103 sono presenti per la prima volta.
«La Biennale si deve qualificare come luogo che ha come metodo, e quasi come ragion d'essere, il libero dialogo tra gli artisti e tra questi e il pubblico.»
Con queste parole il Presidente della Biennale Paolo Baratta presenta la Biennale Arte 2017, spiegando che «con la presente edizione si introduce un ulteriore sviluppo; è come se quello che deve sempre essere il metodo principale del nostro lavoro, l'incontro e il dialogo, diventasse il tema stesso della Mostra. Perché questa Biennale è proprio dedicata a celebrare, e quasi a render grazie, all'esistenza stessa dell'arte e degli artisti, che ci offrono con i loro mondi una dilatazione della nostra prospettiva e dello spazio della nostra esistenza.» «Una Mostra ispirata all'umanesimo, dice Christine Macel. Un umanesimo non focalizzato su un ideale artistico da inseguire, né tanto meno caratterizzato dalla celebrazione dell'uomo come essere capace di dominare su quanto lo circonda; semmai un umanesimo che celebra la capacità dell'uomo, attraverso l'arte, di non essere dominato dalle forze che governano quanto accade nel mondo, forze che se lasciate sole possono grandemente condizionare in senso riduttivo la dimensione umana.»
Roberto Cuoghi - Imitazione di Cristo