Articoli

La ricerca introspettiva di Paolo Troilo riesce ad essere profonda al punto di andare oltre il sé, e – tramite sé - alla ricerca degli archetipi. Questo gli riesce grazie ad una pittura da sempre matura, potremmo quasi dire “nata adulta” e influenzata direttamente dalla vita (anche da quella professionale) dell'artista, piuttosto che dalle sue pulsioni istintuali; una pittura lungamente meditata  prima ancora che lui stesso iniziasse ad essere pittore.

Nato a Taranto nel 1972, Troilo inizia a “fare il pittore” relativamente tardi – nel 2005 – e lo fa senza aver compiuto alcuno studio artistico. Anzi, fino ad allora la sua vita viene caratterizzata dall'aver “abbandonato” ogni scuola: da quella di grafica pubblicitaria, alle facoltà di architettura come quella di lettere. Ma Paolo dipingeva da sempre. Da quando aveva quattro anni, ogni giorno.

La sua volontà, all'epoca, era effettivamente quella di lavorare nel campo della grafica pubblicitaria, ed inizia a lavorarci direttamente, complice il fatto che – soprattutto nei tardi anni Novanta -  trovare un disegnatore che fosse veloce ed abile a trasferire il concetto su un foglio di carta fosse davvero cosa molto rara.
Dal 1997 lavora come creativo pubblicitario, aggiudicandosi i più importanti premi di settore. Nel 2009, però, abbandona all'improvviso e senza alcun ripensamento la sua professione per dedicarsi completamente alla pittura, sentendo ormai poco sopportabile il peso dell'eufemismo della parola “creativo”: in realtà, il suo mestiere consiste nel mettere le proprie idee a disposizione di interminabili riunioni dedicando ogni attenzione al marketing.

Della sua professione, però, Troilo metabolizza gli aspetti più preziosi, che si rifletteranno nella sua pittura: innanzitutto la capacità di sintesi, evidente in ogni sua opera, in cui il concetto viene espresso e sviluppato in profondità grazie a pochissimi elementi: o, per meglio dire, all'assenza di elementi che non siano posizioni del corpo. Corpi al contempo plastici e liquidi, sospesi in uno spazio (o meglio, in un non-spazio) senza interagire con nulla, e da cui - nel modo in cui sono disposti, piegati, distesi – spesso prendono forma altri oggetti nella mente dell'osservatore. È la stessa sintesi che lo porta a dipingere senza utilizzare alcun colore, antiteticamente all'opulenza cromatica tipica del mondo pubblicitario. La convinzione del pittore, infatti, è che il colore – che peraltro è inesistente, una sorta di illusione a cui l'occhio e il cervello sottostanno – non abbia bisogno di pigmenti per essere evocato. Come in letteratura, d'altronde, è possibile rendere un'infinità di colori e di sfumature tramite un libro stampato in nero su bianco; importante è piuttosto il riscontro degli osservatori, che spesso gli fanno presente come nelle sue scene vedano ora il rosso, ora il giallo, evocati dalle emozioni.

Ed è proprio il riscontro da parte del pubblico la cosa più importante per Troilo. O, più precisamente, la verifica del fatto che il suo concetto venga compreso appieno da chi osserva la sua opera. Come per “Guerra e Pace”, esistente in tre versioni, che l'artista definisce “la sua Epifania” perché in essa è riuscito a raggiungere la perfezione della sintesi concettuale cui accennavamo prima.
Un'epifania a cui il pittore è giunto passando dalla fase in cui veniva definito come un autore di autoritratti a quella odierna, in cui appare evidente l'assenza di autoreferenzialità; più in generale, diremmo, l'assenza di qualsiasi riferimento a qualsivoglia situazione o persona definita: la volontà dell'artista è quella di ritrarre qualcosa che sia nel subconscio dell'osservatore, atemporale, e non una scena che possa potenzialmente essere anche nei suoi occhi. Troilo utilizza Troilo come modello per una questione pratica – grazie anche alla fortuna di avere un corpo canonicamente bello per i concetti estetici classici – ma soprattutto per compiere attraverso sé, come dicevamo, un percorso oltre il sé e verso l'essenza della forma, che diventa puro riferimento visuale.

La stessa tecnica utilizzata sembra insistere sulla sua volontà di non avere alcun tramite tra sé stesso e l'opera finale: Paolo Troilo dipinge infatti senza l'utilizzo di alcun pennello, spargendo il colore sulla tela direttamente con le sue dita. Anzi, perfino la struttura di preparazione dei dipinti viene disegnata senza l'uso di alcuno altro strumento.

Attualmente, Troilo espone a Tel Aviv, alla Riklis Hall – area espositiva della nota famiglia di collezionisti e mecenati – con una personale che inaugura lo spazio stesso, ed è presente in altre tre mostre tra cui una al MOMA di New York. Nel frattempo, sta preparando due prossime personali, a Londra e a San Francisco nel 2015. In Italia si appoggia a Fabbrica EOS di Giancarlo Pedrazzini, ma non ha attualmente mostre in programma.

Pubblicato in Il Giornale