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Nascono da un'idea del Gruppo Hdrà in collaborazione con Le Giornate degli Autori gli incontri di Domani Accadrà: tre serate di talk events sulla cultura e sulla società a margine della 75ma Mostra del Cinema di Venezia, incentrate su slogan tematici che guidano a una riflessione su specifici concetti.

"È in questo contesto che è stato presentato - fuori concorso - "Why Are You Creative?", film del regista Hermann Vaske, intervenuto accanto a Marina Abramovic per parlare di creatività, di cosa sia e del perché esista. Il film, che uscirà distribuito con I Wonder Pictures nel 2019 e che è stato presentato come evento speciale alle giornate degli Autori, rappresenta un viaggio lungo vent'anni in cui il regista ha girato il mondo e parlato con decine delle più fertili menti dei nostri tempi, in campo artistico, scientifico, umanitario - tra cui, appunto, l'artista serba - cercando tramite le loro testimonianze la risposta a questa questione." Abbiamo incontrato la Abramovic per una intervista.

Marina, partiamo dalla domanda più ovvia, quasi banale: cos'è la creatività?

"Si tratta di qualcosa che esiste da quando esiste l'umanità stessa. Da quando l'uomo primitivo ha iniziato a disegnare sulle pareti delle sue caverne è iniziata la storia dell'espressione creativa: non bastava il cibo per nutrirsi, occorreva anche del nutrimento per lo spirito. È quindi una parte fondamentale dell'esistenza umana; come il respiro, che si fa senza porsi domande... si respira, e basta". Crede che la creatività debba inevitabilmente fare i conti con la contemporaneità, essere necessariamente segno dei tempi?

"Purtroppo questa domanda presupporrebbe una risposta con percentuali, almeno per quanto attiene all’arte, ma non è possibile. Nel senso che un’opera è costituita da tanti ingredienti, da tanti strati; perché se è soltanto politica, domani sarà già vecchia politica, sarà una vecchia opera d’arte fuori dal suo contesto temporale, e non interesserà a nessuno. Deve essere costituita, quindi, da un insieme di elementi: l’aspetto politico, quello sociale, ma anche fondarsi su solidi archetipi spirituali. È in questo modo che le grandi opere restano per sempre tali, e sono in grado addirittura di anticipare e prevedere il futuro. Perché esistono idee più avanzate di quanto la società percepisca; il momento storico-sociale tende a interpretare innanzitutto quelle che sono indispensabili, necessarie, che tendenzialmente sarebbero quelle più pratiche. Ma il compito dell’arte è cogliere la necessità delle istanze più profonde e spirituali che generalmente altre discipline trascurano; e, qualora occorra, captare con più evidenza anche quelle sociali. Più numerosi sono gli strati e le chiavi di lettura, più l’opera tenderà ad essere eterna". Tutta la sua lezione, sin dall’inizio, parla di un’arte non consolatoria e non incline a una pacificazione. Quanto l’arte ha a che fare con la rottura degli schemi?

"Certamente molto. Va detto, anche da un punto di vista “commerciale”: rompere gli schemi è rischioso, perché può portare anche a dei grossi fallimenti, ma è necessario. L’artista deve imparare ad accogliere e accettare il fallimento, per poter sperimentare e per poter provare nuove idee, nuovi concetti. Il più grosso rischio per un artista è la ripetizione: il mercato ti ha accettato per quella tale cosa che hai fatto, ma insistere nel replicarla generalmente porta il fruitore, col tempo, a disinteressarsi al tuo lavoro. Occorre imparare a restare coerenti ma al contempo a sperimentare nuove cose, altrimenti il successo iniziale può facilmente svanire. E sperimentare è un’operazione ad alto rischio di fallimento, ma è anche l’unica via percorribile. Ecco perché la misura del successo di un artista è data dal numero di fallimenti che avrà e che sarà in grado di accettare e metabolizzare".

Lei come è riuscita a salvarsi dal rischio delle ripetizioni?

"Innanzitutto premetto che l’artista deve darsi completamente all’arte: il 100% non basta, occorre andare oltre. Questo io ho sempre cercato di fare, non per scelta strumentale, ma perché così andava fatto. Riguardo al rischio delle ripetizioni, l’arte performativa mi permette maggiore libertà. E quando iniziai con le mie performance, dalle primissime volte con dieci amici che venivano a vederle siamo passati a trenta - ed era un grande successo - poi a cento, e via dicendo. Questo nonostante fossero magari sempre più estreme. Oggi sono seguite da migliaia di persone: credo sia perché ho deciso di fare mio lo slogan Se mi dite di no, questo è solo l’inizio". E cosa succede se l’artista smette di essere creativo?

"Credo che un artista non possa, non debba correre questo rischio, se è un artista. A mio personale avviso un pericolo per la creatività è il fatto di avere uno studio, ovvero un posto dove stabilmente rinchiudersi e lavorare: è un luogo morto. Le idee vengono dalla vita, che va vissuta e praticata, anche immergendosi nella natura. Gli spazi devono essere aperti per avere la mente aperta, in modo che l’idea possa “entrare”: l’artista d’altronde è un medium tra l’idea e il mondo, e la trasmissione deve essere pulita, la frequenza libera. Poi credo si debba capire che l’idea non deve rendere l’artista felice: deve quasi fare paura, deve arrivare sorprendendoti e tu devi farle spazio sentendoti quasi a disagio". A tal proposito, in lei l'espressione creativa si è manifestata con il suo costante tentativo di superare i suoi stessi limiti, fisici e mentali. Quello che ha fatto finisce con l'essere anche forma di autoanalisi o lei tende a mantenersi distaccata dal sé performativo?

"L’artista non è bianco o nero, non è una cosa oppure l’altra; è come un buon piatto, con tanti ingredienti. Come dicevo prima, l’arte deve essere esperienza personale, visione spirituale e visionarietà, analisi sociale e politica, magari politicamente scorretta: questa sono io. E - lo dicevo prima - mi dedico all’arte in maniera totale: non posso quindi distaccarmi dalla me stessa artista". Una sé stessa artista che ha fatto del rompere le regole uno dei suoi elementi più importanti: probabilmente la creatività consiste proprio in questo: rompere le regole, trovando soluzioni nuove e rivoluzionarie, e non solo in arte. Quale ritiene sia il più grande creativo, il massimo rivoluzionario della storia dell'umanità?

"Questa è davvero una domanda difficile. Perché in ogni secolo c’è una persona che rivoluziona totalmente qualcosa, come fece Colombo ai suoi tempi, credendo nella teoria della terra sferica a tal punto da convincere sé stesso, i suoi uomini e la Corona Spagnola a tentare la via alternativa verso le Indie, scoprendo poi l’America. Seguire una Terra ancora ignota è un viaggio più grande che non mettere il piede sulla Luna: quindi chiunque, in ogni tempo, abbia scelto di rischiare avventurandosi in territori sconosciuti e abbia avuto successo è un grande rivoluzionario".

 

Pubblicato in Il Giornale